Dio è morto

La società moderna ha preteso di uccidere Dio, che in essa non trovava più posto

 

 

Dalla morte del re alla morte di Dio

La nostra civiltà moderna è nata da un omicidio? Si. I suoi profeti hanno annunciato il regno dell’uomo attraverso la morte di Dio.

Quella del re di Francia, avvenuta nel 1793, ne fu un simbolo. Il primo. Più tardi, Freud ha celebrato "la morte del padre": altra immagine metaforica di un omicidio più profondo, che ha attraversato la nostra civiltà.

Questo omicidio, Johann Paul Richter (1763-1825), romantico tedesco, lo evoca simbolicamente in termini resi popolari da Madame de Stael [Qui l’Autore si riferisce alla traduzione francese di G. de Staèl, nell’opera intitolata De l’Allemagne, del 1810 (N.d.T.)].

Il poeta si trova da qualche minuto in un cimitero. Le tombe si aprono, sorgono le ombre dei morti. Esse interpellano Cristo e lui risponde: "Dio non c’è... Siamo tutti orfani. Io e voi non abbiamo più un Padre".

Sì. La morte del padre e la morte di Dio vanno di pari passo, poiché Dio è Padre, nel senso più radicale del termine: colui che dona l’esistenza, in ogni istante, per amore. "Da lui ogni paternità nei cieli e sulla terra prende nome", dice l’apostolo Paolo (Efesini 3, 15).

I romantici hanno spesso evocato la morte di Dio, come Gérard de Nerval ed Heinrich Heine:

    "Nulla ha potuto salvarlo. Non sentite la campanella?"

    "In ginocchio! Si stanno portando i sacramenti a un Dio che sta morendo".

Si trattava solo della dimensione onirica. Gli scienziati e riformatori sociali del XIX secolo hanno portato a termine l’omicidio in modo più radicale: Dio è un fantasma soggettivo, e questo fantasma schiaccia l’uomo, hanno ripetuto in svariati modi.

Dio reprime la scienza. Blocca la rivolta dei poveri, lega l’uomo con la morale e la paura. La morte di Dio sarà la liberazione assoluta. Il trionfo della scienza dissiperà l’illusione e porterà con sé tutto ciò che gli uomini attendono da Dio: il progresso, la giustizia, la pace, la fraternità, lasciandosi alle spalle le crociate e l’inquisizione.

"Dio è un mito", viene precisato per meglio liberarsene: e un prodotto malato della nostra psiche. L’uomo si è creato questo padrone, questo idolo, se ne è reso lo schiavo masochista. Uccidiamo questo fantasma e non ci saranno più né divieti né punizioni. Senza Dio né padrone, l’uomo si appresta a rinascere!

L’uomo? Ben di più: il superuomo! rilanciava Nietzsche. Dio non è più dietro, ma dinnanzi a noi: nell’avvenire. L’uomo, liberato dal peso di Dio, sarà il dio dell’avvenire.

Si. In ciò è consistito il sogno folle di Hitler, la gloria effimera della sua follia omicida.

Dov’è dunque il mito? È forse Dio? No di certo, come vedremo. Mito, piuttosto, è quello della morte di Dio. Da Richter a Nietzsche, i testi che l’annunciano sono mitologici, nella loro stessa essenza. Questi falsi profeti hanno liberato l’uomo da costrizioni apparenti che altro non erano se non la legge intima della sua felicità.

Dio non viene ucciso, egli vive oltre gli psicodrammi omicidi. L’uomo non può ucciderlo che nel suo cuore e nelle sue istituzioni.

Dio resta il Creatore, la radice che nutre l’uomo. Se tagliamo questa radice nella nostra psiche umana, distruggiamo noi stessi.

[…]

 

Assurdo e rovinoso

Hitler, l’uomo liberato - stando al pensiero di Nietzsche - illustra bene una fatale catena di eventi. La liberazione del superuomo provoca la morte di milioni di soldati, di milioni di Ebrei, di Hitler medesimo, nelle rovine apocalittiche di Berlino.

L’ateismo comunista non è stato più fortunato. Annunciava un paradiso. E ci fu il Gulag. La sua fine lascia dietro di sé un ammasso di rovine e di violenze che oggi esplodono, spingendosi oltre quelle costrizioni a lungo represse.

Non è andata meglio neppure al materialismo pratico delle nostre società capitaliste. Il culto del denaro non ha fatto sparire i poveri. Il culto del piacere non ha eliminato l’angoscia. Al contrario.

La mitologia della morte di Dio era diventata un fatto culturale così prestigioso da sedurre anche i cristiani. Durante gli anni Sessanta, i teologi si sono messi a parlare con un certo gusto della morte di Dio. I libri, in quel periodo, spuntavano come funghi. Si trattò di un fatto effimero, ma era così di moda che dovetti scrivere un libro per smascherare quell’illusione. La teologia, è la scienza di Dio, la Parola di Dio. Ed ecco che essa onorava questo mito sacrilego. Tale atteggiamento veniva giustificato dall’intento di purificare l’immagine di Dio nel cuore dei cristiani: "Noi cattolici formalisti adoriamo un falso Dio, si diceva, un Dio-garante-dei-privilegi, un Dio-assicurazione-sulla-vita-eterna, in cambio di qualche pratica superstiziosa e di molti dollari offerti alla Chiesa da ricchi disonesti che vogliono rifarsi una buona coscienza, senza entrare in rapporto con la vita di Dio".

Certamente, bisogna purificare le nostre rappresentazioni a proposito di Dio, che spesso sono semplicistiche e mediocri. Ma attaccando una "religiosità stile riserva indiana" per meglio realizzare il Vangelo come pace, giustizia, fraternità, questi teologi d’una fede senza religione svalutavano o distruggevano, più di quanto non credessero, le radici della vita divina: la Chiesa, il sacro, i sacramenti, l’ordine e la morale. La "fede senza religione" (dunque più pura!) che essi preconizzavano, mancava del terreno senza il quale la vita deperisce. La terra è greve e sporca. Ma, se manca, la pianta si dissecca, stando a quel che dice Gesù nella parabola del buon seminatore. La religione può sembrare passibile di derisione coi suoi riti, i suoi simboli, i suoi obblighi. Però tutti questi segni sono legami insostituibili nel rapporto con Dio: l’umile scala per mezzo della quale noi saliamo verso di Lui. Harvey Cox (protestante), che nella Città secolare celebrava la fede senza religione, non ha tardato a cambiare parere celebrando la religione popolare, ivi compresa quella cattolica.

L’ateismo non è un’invenzione moderna. Ci sono degli antecedenti. Un salmo (profetico) comincia così:

    "Lo stolto pensa: Non c’è Dio".

Già allora! Un bel po’ di secoli prima di Gesù Cristo! Ma ascoltiamo il salmo. Comincia con questa parola: lo stolto. Sant’Anselmo spiegava: Chiunque dice: Dio non c’è è uno stolto, poiché Dio è l’Essere necessario, per essenza e per definizione. Dire: L’Essere necessario non esiste è una contraddizione in termini. Dire: L’Essere perfetto non esiste è un non senso, dal momento che non sarebbe più perfetto se mancasse dell’esistenza.

Si tratta della "prova ontologica": la prova che ha luogo per mezzo dell’Essere e della sua necessità misteriosa. Ne è stata contestata la validità.

Petizione di principio, si obietta. Se l’Essere necessario esiste, il ragionamento funziona, ma se non esiste, la definizione non è che un mito, un pensiero privo di fondamento. E la prova crolla.

Sant’Anselmo era un grande contemplativo. Possedeva una profonda percezione intuitiva di Dio, dal punto di vista stesso di Dio. E, a questo livello, il suo discorso era giusto. Ed è ancora più giusto per Dio stesso. Per l’Essere necessario, trascendente, la piccola creatura a cui dona l’esistenza è chiaramente insensata, pretenziosa e ridicola, soprattutto laddove proclama: Dio non c’è. Tagliando in questo modo le proprie radici, l’uomo distrugge se stesso.

La nostra società ha ucciso Dio, che in essa non trova più posto. Egli è progressivamente sparito dall’ambito sociale e da quello delle istituzioni. L’uomo si trova liberato da Dio, ma non da se stesso. Né dal peccato. La morte di Dio, non dà vita a un uomo libero, bensì a un essere preda delle sue pulsioni selvagge e folli. È la violenza, la droga, il disordine. Oggi, questi fiori velenosi stanno proliferando. Le guerre etniche si scatenano in Africa, in Europa e altrove. Le diverse mafie sfidano l’ordine, la sicurezza, la società, la pace. La liberazione sessuale ha finito per sostituire l’amore e la famiglia con l’erotismo, e nondimeno ci ha abbondantemente gratificato con l’Aids. Gli stessi successi della tecnica hanno spesso reso l’uomo schiavo dei suoi strumenti, che talvolta rendono schiava e distruggono la sua umanità. Non diventiamo degli apprendisti stregoni!

E venuto il tempo di scacciare questi ingannevoli miraggi, che troppo spesso hanno trasformato l’educazione - cioè la formazione morale interiore e l’adesione al bene comune - in una liberazione dei desideri. Il rilascio delle pulsioni egoistiche ostacola, o cancella, la libertà del prossimo, e ci riporta in una giungla dove regna la lotta per la sopravvivenza. Non si tratta forse di uno degli amari frutti dell’arrivismo e dell’attivismo? Liberiamoci da queste liberazioni che distruggono. E dalle loro mitologie.

Del resto, non è così facile, dal momento che ne siamo prigionieri.

 

Brani tratti dal libro "Dio esiste, ecco le prove", di René Laurentin; Ed. Piemme

 


 

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