L'Apocalisse commentata da Don Dolindo Ruotolo

Il Signore ci chiama a penitenza

 

 

CAPITOLO XVI

«Udii poi una gran voce dal tempio che diceva ai sette angeli: «Andate e versate sulla terra le sette coppe dell'ira di Dio».
Partì il primo e versò la sua coppa sopra la terra; e scoppiò una piaga dolorosa e maligna sugli uomini che recavano il marchio della bestia e si prostravano davanti alla sua statua.
Il secondo versò la sua coppa nel mare che diventò sangue come quello di un morto e perì ogni essere vivente che si trovava nel mare.
Il terzo versò la sua coppa nei fiumi e nelle sorgenti delle acque, e diventarono sangue.
Allora udii l'angelo delle acque che diceva: «Sei giusto, tu che sei e che eri, tu, il Santo, poiché così hai giudicato. Essi hanno versato il sangue di santi e di profeti, tu hai dato loro sangue da bere: ne sono ben degni!».
Udii una voce che veniva dall'altare e diceva: «Sì, Signore, Dio onnipotente; veri e giusti sono i tuoi giudizi!».
Il quarto versò la sua coppa sul sole e gli fu concesso di bruciare gli uomini con il fuoco. E gli uomini bruciarono per il terribile calore e bestemmiarono il nome di Dio che ha in suo potere tali flagelli, invece di ravvedersi per rendergli omaggio.
Il quinto versò la sua coppa sul trono della bestia e il suo regno fu avvolto dalle tenebre. Gli uomini si mordevano la lingua per il dolore e bestemmiarono il Dio del cielo a causa dei dolori e delle piaghe, invece di pentirsi delle loro azioni.
Il sesto versò la sua coppa sopra il gran fiume Eufràte e le sue acque furono prosciugate per preparare il passaggio ai re dell'oriente.
Poi dalla bocca del drago e dalla bocca della bestia e dalla bocca del falso profeta vidi uscire tre spiriti immondi, simili a rane: sono infatti spiriti di demòni che operano prodigi e vanno a radunare tutti i re di tutta la terra per la guerra del gran giorno di Dio onnipotente.
Ecco, io vengo come un ladro. Beato chi è vigilante e conserva le sue vesti per non andar nudo e lasciar vedere le sue vergogne.
E radunarono i re nel luogo che in ebraico si chiama Armaghedòn.
Il settimo versò la sua coppa nell'aria e uscì dal tempio, dalla parte del trono, una voce potente che diceva: «È fatto!». Ne seguirono folgori, clamori e tuoni, accompagnati da un grande terremoto, di cui non vi era mai stato l'uguale da quando gli uomini vivono sopra la terra.
La grande città si squarciò in tre parti e crollarono le città delle nazioni. Dio si ricordò di Babilonia la grande, per darle da bere la coppa di vino della sua ira ardente. Ogni isola scomparve e i monti si dileguarono.
E grandine enorme del peso di mezzo quintale scrosciò dal cielo sopra gli uomini, e gli uomini bestemmiarono Dio a causa del flagello della grandine, poiché era davvero un grande flagello.»
(Apocalisse, capitolo XVI)

 

Per la nostra vita spirituale.

L’annunzio della grandi tribolazioni che colpiranno la terra prima del giudizio universale ci deve fare seriamente pensare al giudizio di Dio nella nostra vita mortale. Sette coppe sono versate sulla terra come sette libazioni di sacrificio espiatorio, per riparare le ingiurie fatte al Signore coi sette peccati mortali nelle sette epoche della vita della Chiesa. Queste coppe misteriose di flagelli riparatori si versano anche nel nostro cammino mortale per le colpe delle quali siamo rei. Nessuno si illuda di fare il male e di rimanere impunito, o, peggio, di fare il male e prosperare. Tutto si paga, inesorabilmente si paga, e possiamo dire veramente che c’è per ogni nostro peccato una coppa di amarezze e di angustie che ce lo fa pagare.

Finché dura il tempo della misericordia ci sono anche anime generose che si immolano come vittime, attingono dai tesori della Redenzione e pagano per noi; ma c’è anche per la nostra vita un momento di giustizia inesorabile, nel quale scadono i debiti contratti e bisogna ad ogni costo pagarli. Chi sarà così stolto da voler comprare un miserabile diletto dei sensi col carissimo prezzo di ulceri, di angosce mortali, di sventure e di pene di ogni genere? E chi sarà così inumano e crudele da cagionare agli altri simili affanni e da concorrere a quelle sventure che affliggono la povera e desolata umanità? Siamo sulla terra come una sola famiglia, infatti, e il danno del quale ognuno di noi è causa diventa danno di tutta l’umana famiglia. Ci scuota almeno questo pensiero di umanità e di carità, e ci raccolga tremanti sulle nostre responsabilità.

Chi va in una sala di ospedale nell’ora della medicazione rimane atterrito di fronte ai mali che colpiscono e tormentano le povere membra umane. Quella sala echeggia di grida spasimanti, eppure non è sala di castigo ma di caritatevoli cure, e quell’ora è la più benefica per quella povera gente. È un piccolo angolo della valle di lagrime, che ne dà l’idea più viva, e strappa amari lamenti da un cuore compassionevole. Se si facesse non la storia clinica di quei malanni ma la storia morale delle responsabilità che li causarono, si troverebbe o prossimamente o remotamente una storia di peccati e di iniquità, e si costaterebbe in quelle ulceri, in quel sangue, in quelle ardenti febbri, in quegli oscuramenti della potenza visiva, in quell’inaridimento di membra e in quelle tempeste di angustie il pagamento di tanti conti da saldare con la divina giustizia.

Quante coppe di amarezza vengono versate nella nostra vita per le nostre iniquità, e noi, invece di riconoscere in esse la voce della giustizia di Dio, continuiamo nelle nostre pessime vie, anzi tante volte ci peggioriamo richiamando su di noi più gravi flagelli! Umiliamoci profondamente, preghiamo, ripariamo, e, gettandoci nelle braccia della divina misericordia che è sempre pronta ad accoglierci, piangiamo i nostri falli, e accettiamo come riparazione le pene stesse della vita. Il Signore prospettandoci i mali che colpiranno negli ultimi tempi la terra, ci richiama precisamente al sentimento delle nostre responsabilità, e ci scuote perché ci emendiamo dei nostri peccati.

Si deve notare che i flagelli che colpiscono l’umanità negli ultimi tempi hanno un carattere più chiaramente soprannaturale, in modo da non offrire agli uomini il destro di illudersi dando ad essi una spiegazione puramente naturale. L’ulcera colpisce solo quelli che hanno il carattere della bestia o che adorano la sua immagine; dunque non può scambiarsi con una comune epidemia. Il mare, che ha acqua sempre pura e incorrotta, non poteva mutarsi d’un tratto in sangue cadaverico. I fiumi e le fontane rosseggiano come vivo sangue senza una possibile spiegazione naturale. Il sole, che secondo tutti gli scienziati si trova in una fase di raffreddamento, accresce il suo calore fino a bruciare. Il trono dell’anticristo, che sembrava saldo e incrollabile, improvvisamente vacilla sotto la grave minaccia dell’incursione gialla, alla quale apre la via il disseccamento improvviso dell’Eufrate. Infine gli sconvolgimenti atmosferici, le tempeste spaventose che li seguono, i terremoti, la grandine hanno un carattere che esclude ogni spiegazione naturale.

Il Signore chiama così a penitenza l’umanità, e vuol farsi riconoscere perché essa si emendi. Non attendiamo che Dio ci chiami con castighi prodigiosi per emendarci, ma riconosciamo in ogni sventura la sua voce, e profittiamo di ogni dolore per far penitenza dei nostri peccati. La penitenza non è una sventura, ha un carattere dolce, perché è sempre un filiale ritorno nelle adorabili braccia di Dio; rispondiamo, dunque, al suo invito e percuotendoci il petto domandiamogli perdono nella nostra profonda umiliazione.

 

Da "La Sacra Scrittura - L'Apocalisse" di Don Dolindo Ruotolo, pagg. 448-449 (pubblicato nel 1974 con Imprimatur di Mons. Vittorio. M. Costantini, Vescovo di Sessa Aurunca)

 

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A cura di "Profezie per il Terzo Millennio" - Giugno 2007
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