La catechesi del Papa all'udienza generale
della vigilia dell'Annunciazione

Quel "sì" può divenire l'insegna di una nuova umanità

FRANCESCO M. VALIANTE

 

 

Ogni volta che la strada di un uomo giunge al bivio col Divino, risuona l'eco di un "sì" pronunciato duemila anni fa in un'oscura città della Galilea. Quella parola sgorgata dalle labbra di una giovane di Nazareth ha cambiato per sempre il corso del tempo. Ha spalancato le porte del mondo all'irruzione del Mistero. Ha squarciato definitivamente le tenebre del peccato dischiudendo all'umanità un orizzonte radioso di salvezza.
Quel "sì" riecheggia ancora oggi tutte le volte che una vita si "compromette" con l'Assoluto. C'è un "sì" dietro ogni scelta d'amore profonda, autentica, coinvolgente. Dal "sì" germoglia la vocazione sacerdotale o religiosa. Un "sì" suggella il legame sponsale di un uomo e di una donna. "Sì" è la risposta di colui che lascia plasmare la propria esistenza dalle mani sapienti del Creatore. Ed ogni "sì" personale è una virata di rotta che riconduce la direzione della storia verso lidi di futuro e di speranza.

Proprio alla vigilia della solennità dell'Annunciazione, nel cuore di questa tormentata Quaresima 2004, Giovanni Paolo II chiama con forza ogni credente "ad unire il proprio "sì" ai misteriosi disegni della Provvidenza", in un'"intima sintonia col Fiat di Cristo e della Vergine". Non per pietismo o fatalismo, ma per salutare, concretissimo realismo, nell'interiore consapevolezza che "solo dalla piena adesione ai voleri divini scaturiscono quella gioia e quella pace vera che tutti ardentemente auspichiamo anche per i nostri tempi".
Quando il "sì" dell'uomo coincide con il "sì" di Dio, la storia assiste stupita al miracolo della Grazia. Si spezza la spirale del conformismo, della paura, della rassegnazione. Perché ogni volta che un cuore si converte, si inverte la logica perversa dell'odio e della morte. Si cambia letteralmente l'orbita del mondo. Ecco il  disarmante  realismo  della  "profezia"  cristiana.
È per questo che il "sì" più totale e fidente di cui è capace l'animo umano ha l'accento della preghiera. Non a caso il "fiat" di Maria scandisce l'invocazione che si leva ogni giorno in tutta la Chiesa all'ora dell'Angelus. Volgere gli occhi verso l'alto non è distogliere lo sguardo dal presente. Non è tirare i remi in barca ed abdicare alle responsabilità. Al contrario, è spiegare le vele in direzione del vento tenendo sempre più saldamente tra le mani il timone della navigazione. Pregare non è fuggire dal mondo ma abbracciarne ogni giorno con trepida sollecitudine le angosce, i desideri, le attese.
L'intero Pontificato di Giovanni Paolo II è come un prolungato, intenso abbraccio orante all'umanità inquieta di quest'ultimo quarto di secolo. È un assiduo deporre nelle mani premurose della Madre le lacrime e le ferite dei suoi figli. A cominciare da quell'8 dicembre 1978, quando nella Basilica di Santa Maria Maggiore egli affidò alla Vergine la Chiesa e il mondo, insieme con le primizie del suo ministero apostolico. Lo stesso fece pochi mesi dopo, il 4 giugno 1979, nel Santuario polacco di Nostra Signora di Jasna Góra. E proprio nella solennità dell'Annunciazione del 1984, Anno Santo della Redenzione, dinanzi alla statua della Madonna di Fatima pellegrina in Piazza San Pietro, consacrò al Cuore Immacolato di Maria tutti gli uomini ed i popoli della terrà. "Dalla fame e dalla guerra, liberaci! - fu il grido che proruppe dal suo cuore affranto - Dai peccati contro la vita dell'uomo sin dai suoi albori, liberaci! Dall'odio e dall'avvilimento della dignità di figli di Dio, liberaci! Da ogni genere di ingiustizia nella vita sociale, nazionale e internazionale, liberaci!"
Vent'anni dopo, dinanzi ad un mondo che "resta ancora paurosamente segnato dall'odio, dalla violenza, dal terrorismo e dalla guerra", il Papa rinnova quella supplica alta e struggente. Mentre "tanto sangue continua ad essere versato in molte regioni del globo", Giovanni Paolo II implora da Maria un salvacondotto d'amore per il cammino di questa umanità incapace di scrollarsi di dosso la cappa dell'angoscia e di ritrovare il bandolo di una convivenza finalmente riconciliata con Dio, con il creato, con i fratelli.
Inginocchiandosi ai piedi della Vergine il Papa si fa egli stesso un "sì" vivente al Mistero. Come è stato, del resto, sin dall'inizio del suo ministero petrino:   cos'è infatti quel tenero, filiale
Totus tuus se non il "fiat" incessante - oblativo sino all'eroismo - alla Mano nascosta e provvidente che traccia le coordinate della storia?
v È stato il "sì" di una ragazza, risuonato due millenni or sono nel segreto di un'umile casa di Nazareth, a trasformare il corso degli eventi umani. Un "sì" tenero e forte, libero ed esigente. Non i proclami dei potenti, le voci dei forti, le grida degli eserciti di ogni epoca e Nazione. Quel "sì" - è la certezza del Papa - può divenire la parola d'ordine anche di questo millennio. Ripetuto ogni giorno, ogni istante, nel segreto dei cuori, nell'intimità dei focolari, nel silenzio delle chiese e dei chiostri, può divenire lo slogan di una civiltà. L'insegna di una nuova umanità. Il nome definitivo e inappellabile della pace.

L'Osservatore Romano - 26 marzo 2004

 

 

 


 

Ritorna alla pagina principale