Nella ricorrenza dei Santi Pietro e Paolo, festa del Papato,

Il Papa, scelta definitiva: «Non lascerò mai»

Escluse ipotesi di rinuncia: «La forza per andare avanti non è un problema mio, ma di Cristo che mi ha chiamato»

di VITTORIO MESSORI

 

Ricorrenza solenne, oggi, in Vaticano: la memoria liturgica dei Santi Pietro e Paolo è celebrata, e sentita, come la Festa del Papato. Ma dietro il clima che si vuole gioioso, continuano ad agitarsi fantasmi e a inseguirsi voci: quali saranno le decisioni sul suo futuro dell'attuale «successore di Pietro», con i suoi 82 anni, con il suo morbo di Parkinson, con i segni impressi sul corpo da una vita faticosa, spesso drammatica? Ebbene, proprio oggi, giorno dei due apostoli «Colonne della fede», è possibile troncare di netto tanti sussurri e tante grida. Giovanni Paolo II non è per nulla tormentato da un dilemma angoscioso: una rinuncia al pontificato o la continuazione del suo ministero? Sulla base non di voci, ma di informazioni sicure, al riparo da ogni smentita, possiamo garantire che la sua decisione si è fatta in questi ultimi tempi ancora più salda. Ora, è davvero definitiva: il suo servizio alla Chiesa, cioè, proseguirà sino a quando Dio vorrà, non ci sarà alcun ricorso al canone 332 che ammette la «rinuncia del Sommo Pontefice al suo ufficio». Come se questi, è facile desumerlo, fossero i suoi pensieri: «La forza per continuare non è un problema mio, bensì di quel Cristo che ha voluto chiamarmi, seppure così indegno, a essere suo Vicario in terra. Nei suoi misteriosi disegni, Lui mi ha portato qui. E sarà Lui a decidere della mia sorte».

Questa, è ormai certo, è la sua convinzione. Una convinzione che scavalca ogni considerazione umana e si situa nella temperie di nuda fede che contrassegna quest'uomo che, pur avendo mostrato grandi doti nell'azione, è essenzialmente un mistico. E di quella tradizione slava che giunse sino ai mirabili scandali dei «pazzi di Cristo».

In effetti, dietro la decisione di Giovanni Paolo II di escludere - comunque evolva la situazione - quelle che, impropriamente, chiamano «dimissioni», c'è una teologia cattolica che nulla ha a che fare con quella di altre confessioni, soprattutto protestanti. Come l'anglicanesimo, il cui Primate, l'arcivescovo di Canterbury, proprio la settimana scorsa è venuto in Vaticano in visita di congedo. Infatti, Sua Grazia, il reverendo dottor George Carey, ha deciso di dimettersi dal ruolo di capo religioso di 80 milioni di fedeli della Chiesa anglicana. Eppure, non ha che 67 anni, gode di un'ottima salute; ma, dice, vuole mettersi in pensione per curare il suo bel giardino, per seguire i nipoti, per concedersi qualche viaggio come semplice turista. Chi sarà il successore?, gli hanno chiesto. Pronta la risposta: «Questo, come sapete, è un problema del Primo Ministro. Abbiamo fornito a Tony Blair una lista di candidati, sarà lui a fare la scelta, che sarà poi ratificata dalla Regina. Ci penseranno loro, io sarò ormai solo un Primate a riposo». La leadership religiosa, insomma, intesa come una prestazione professionale, con scelte e stili di vita da presidente di una multinazionale o di un service club.

E' il contrario esatto del «ministero petrino» cattolico, dove un uomo, un sacerdote, è designato da altri sacerdoti eminenti per dottrina e rigore di vita, ma che agiscono come umili strumenti dello Spirito Santo. Il Padre («Papa») che esce dalla scelta è il successore di quel Simone al quale Gesù stesso mutò il nome, facendolo pietra su cui sarebbe stata edificata una Chiesa contro la quale non avrebbero prevalso le porte degli inferi. Successore di Pietro ma, al contempo, rappresentante in Terra del Figlio di Dio: dunque, con una missione di giurisdizione religiosa e di paternità universali.

Nella prospettiva cattolica, ben prima che una istituzione, il Papato è un mistero: il mistero di un Dio che, fattosi uomo tra gli uomini, ha voluto che un uomo continuasse a esserne testimone e segno di presenza sino al Suo ritorno, alla fine dei tempi.

E' una convinzione, questa, che può - e deve - portare a scelte solo di fede, anche se in contrasto con il senso comune del «mondo», con i suoi sociologi e con i suoi medici. Per il chiamato a reggere, come Vicario, la Chiesa di Cristo non c'è, in coscienza - anche se il Codice canonico ne prevede la possibilità teorica - la possibilità di togliersi di dosso la croce, scegliendo la pensione e il riposo.

Per questo Giovanni Paolo II ha deciso di continuare a oltranza il suo ministero. Chi lo conosce, sa che non si considera che un servo. Anzi, il «servo dei servi di Dio», come dice la formula antica che, per lui, è realtà. Tocca dunque al Padrone, non al servitore, stabilire quando il lavoro è finito .

 

Corriere della Sera - 29 giugno 2002

 


 

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