L'Apocalisse commentata da Don Dolindo Ruotolo

Nelle tribolazioni l’uomo può smarrirsi...

 

 

CAPITOLO VIII

 

Vi sono certi momenti della vita nei quali i mali, le sventure, le prove, le angustie incalzano l’una sull’altra senza tregua, e nei quali non si vede alcuna via di uscita. Il cielo è di piombo, come in quelle lamentose giornate d’inverno, nelle quali la pioggia cade ininterrotta­mente, monotonamente, urtantemente, quasi s’indispettisse contro la terra, senza che si riesca a capire la ragione di quel continuo rovescio di acque. Tutto va storto, tutto va a dispetto, e le preghiere sembrano vane, anzi per maledetta suggestione diabolica sembrano inutili e persino nocive. Si diventa pessimisti e si vede tutto nero, perché nelle pesanti nubi del dolore non si vede neppure la più piccola zona rischiarata, e l’orizzonte è chiuso.

L’anima si sente tra nemici, e le persone più care le danno fastidio con le stesse parole di conforto che dicono, perché sembrano fuori della realtà, o addirittura appariscono ciniche e finte. La fede, la speranza, l’amore, la preghiera, tutto è come morto in lei; il mondo le appare come un ammasso di violenze, di soprusi, di ingiustizie, e rimane tormentosamente incerta innanzi alla provvidenza di Dio.

È proprio in questi momenti che l’anima deve maggiormente adorare, amare e benedire Dio, chiudendo completamente gli occhi su tutto quello che l’assilla e confidando in Lui nella più profonda umiltà. Invece di ragionare in quei momenti nei quali proprio la ragione vacilla, deve chiudere gli occhi e pregare confidando.

Sono momenti preziosi nei quali si può testificare a Dio la propria sudditanza e il proprio filiale omaggio, sono momenti nei quali si ha in mano la penna d’oro per scrivere nel libro della vita l’attivo più bello, e coprire tutto il passivo delle nostre misere azioni; sono momenti nei quali dal cuore diventato selce e percosso dall’angustia, può sprizzare la più bella favilla di amore, apprezzando e lodando Dio, pur sentendolo lontano e severo.

Che cosa posso capire io, mio Dio, del modo arcano col quale tu conduci l’anima mia nelle vie dell’eterna gloria? Che cosa posso intendere dei tuoi misteriosi disegni su di me, povero atomo? Tu sai tutto, tu vedi tutto, tu provvedi a tutto, ed io confido nella tua potenza, nella tua sapienza e nel tuo amore, o santissima Trinità! Mi circonda e mi assilla il dolore, ed io non so capirne il perché, la mia povera natura vi ripugna, il mio povero cuore ne geme, ma io so che tutto sta nelle tue provvide ed amorose mani, e confido in te adorandoti ed amandoti.

Potrei io mai intendere l’ordine del firmamento, la ragione dei suoi urti colossali e l’armonia delle sue silenziose vie, io che ne sono tanto lontano? Potrei intendere io il misterioso mondo dell’infinitesimale, io che ho l’occhio così limitato? La mia vita è un firmamento e un microcosmo, ha le sue linee colossali e le sue invisibili sfumature, io non ho la potenza di abbracciare le prime e penetrare le seconde, e perciò ti adoro profondamente e mi affido alla tua mano potente, alla tua sapienza infinita e al tuo penetrante amore, che guarda le più umili cose come guarda le eccelse.

La vita è un mistero per me, perché è come un cantiere dove si preparano le grandi opere d’arte divina, dell’arte della grazia; vi veggo solo forme negative in cui ogni fattura è inversa,in cui è scavato ciò che dovrà emergere, ed è protuberante ciò che dovrà essere profondo; vi veggo blocchi informi e blocchi stranamente punteggiati, vi veggo tutto un arsenale di ferri torturanti, che mi danno l’impressione di essere nella fucina d’un boia; vi veggo accesa una fornace ad alta tensione, dove par che tutto debba incenerirsi. Non capisco nulla, ma lodo l’artista, e posso dire che se quelle pietre e quei bronzi potessero parlare, lo loderebbero più di me con riconoscente amore, perché egli li sa mutare in idee luminose, la cui espressione si ferma nel marmo e nel bronzo per rimanervi immortale innanzi agli occhi attoniti delle genti.

 

Tu sai, o Artista divino, Tu solo sai in quale ordine di sante armonie devi collocare il mio piccolo essere...

Tu sei artista divino delle anime, o Spirito Santo Dio, e la terra pellegrina è l’officina del tuo dolcissimo amore santificante; tu sai, tu solo, tutte le resistenze del mio cuore e tutte le incrinature della mia miserabile natura; tu sai, tu solo, se devi colpirmi col bulino delicato per cesellarmi o con lo scalpello potente per sgrossarmi; tu sai, tu solo, in quale ordine di armonie soprannaturali e in quale fastigio devi collocare il mio piccolo essere, e perciò io non indago, non critico non mi lamento, non reagisco, non mi ribello alla tua mano, ma taccio, adoro ed amo.

Non sono circondato da orrori e da confusioni, il mondo non è uno sconcertante mistero, è solo un posto di lavoro dove tu dagl’inutili detriti e dalle oscure caverne cavi i blocchi candidi o le ferrigne masse per i tuoi lavori. Non posso io giudicarti, io che sono ancora tanto ignaro delle tue vie, non posso io mormorare dite, o mio Dio, io che ho come ideale il giocattolo, come libro di sapienza il sillabario, e come strumento armonico la rozza, oscillante e lacerante punta di stagno.

Mi disoriento nel viale dell’orto e posso capire io le vie strate­giche del tuo amore conquistatore? Mi spavento nella mia piccola conca da bagno e posso misurare il mare delle tue misericordie? M’atterrisco dell’ombra provocata dalla fiammella della mia candela, e posso valutare la fucina purificante che il tuo amore accende nel mondo per discoriare le tue creature, o infinito Amore? Io, abituato ai dispettucci infantili, alle punzecchianti celie inurbane, al frizzare di stolte parole, potrei mai capire l’infinita calma della tua giustizia, la carità tua nei castighi che mandi, e la riverenza con la quale tratti anche i tuoi nemici?

Io non posso che adorarti per tutto quello che disponi per me e per il mondo; non posso che riparare per le ingratitudini che il tuo amore raccoglie, e non posso che pregare, pregare per unirmi cosi alla tua grandiosa azione. Nelle prove della mia vita tu mi lavori e mi ceselli, nei grandi flagelli del mondo tu rifondi le nazioni e le genti per compire i tuoi disegni di amore, nei flagelli degli ultimi tempi delle epoche della Chiesa e del mondo, tu crei dal caos un mondo nuovo, purificando il vecchio. Io non capisco nulla di questo tuo lavoro, non posso capirne nulla, so solo che sei Amore Infinito e riposo in questo tuo amore adorando, riparando e pregando.

È con questi sentimenti di profonda umiltà, adorazione ed amore che dobbiamo considerare e meditare i grandi flagelli espiatori e purificatori dell’umanità, dei quali più particolarmente si parla in questo capitolo ed in quelli che seguono. Per questo non sembri fuori posto questo che diciamo, quasi per orientarci bene in quello che dobbiamo meditare. La nostra stolta ragione potrebbe essere tentata di dire: Perché tante rovine, e perché Dio infinitamente buono può permettere che le sue creature siano colpite da tanti inumani dolori?

Se riflettiamo alla nostra inettezza tacciamo, se alle nostre colpe ripariamo, se ai mali degli uomini preghiamo, affinché siano temperati dalla divina misericordia. Non è uno scherzo quello che fa Dio desolando la terra, né è uno sfogo di vendetta; è la riparazione d’una infinita maestà disconosciuta e offesa, ed è la rifusione di una novella vita nell’umanità invecchiata dal male ed abbrutita dall’apostasia.

È la potazione d’ogni germoglio cattivo e lo sradicamento d’ogni rovo, per far rifiorire l’aiuola piantata dalla mano santissima di Dio, è la rinnovazione di tutto in Gesù Cristo e per Gesù Cristo, rinnovazione radicale e completa, che deve togliere dalla profanata materia fin le più piccole incrostazioni di male.

Con quale cuore puro da ogni nube di astio o di falsa e stupida compassione dobbiamo meditare queste terrificanti scene che il Sacro Testo appena accenna con misteriosissimi simboli, ma che con la divina grazia dobbiamo cercare di immaginare, per dare un valido scossone alla nostra intorpidita coscienza, e per farle capire un poco che cosa significa l’offesa della divina maestà!

Con quale cuore pieno di amore dobbiamo guardare questi tratti della giustizia di Dio, che sono terribili per la nostra piccolezza, ma che sono immensamente piccoli di fronte alla gravità d’un solo peccato, e molto più di fronte al disconoscimento del Creatore da parte della creatura! Lungi dal pensare che Dio sia severo con l’uomo, dobbiamo riconoscere che è indulgente, e dobbiamo ponderarlo noi, piccoli vermi che, pur perdonando stentatamente a chi ci offese, portiamo sino alla tomba l’astio dell’ingiuria patita, e non sappiamo dimenticarla neppure quando è controbilanciata dalla riparazione.

Dio non punisce per astio, ma nella sua imperturbabile calma richiama al suo amore le creature traviate, e rimette l’ordine da esse turbato con le colpe; lo rimette per giustizia verso le anime che gli sono state fedeli nella prova, o che sono state vessate dall’ingiustizia umana.

Non invochiamo noi tante volte questa giustizia riparatrice? Non la vorremmo immediata e terribile? Non osiamo tante volte dubitare persino dell’esistenza di Dio, perché ci sembra che Egli non reagisca al male come noi vorremmo? Ebbene, Egli attende per misericordia, chiama con, infinita carità, invita con le amorose voci del Sangue del suo Figliuolo, morto per noi, scuote con i più forti richiami dei castighi, rende la vita un fastidioso esilio e ci assedia da tutte le parti per non far perdere un sol fiore del suo campo. Ma quando l’iniquità della terra è al colmo, e quando innanzi al suo cospetto giungono le grida della sua Chiesa desolata e delle anime immolate dall’empietà, Egli dà la prova della sua infinita realtà, e logicamente la dà in tutto il mondo con la potenza del suo braccio e per il ministero di quelle medesime creature che reagiscono al male e combattono per la sua gloria.

Di fronte all’annunzio di questa grandiosa manifestazione l’anima nostra non può essere tanto stolta da passare nelle schiere dei reprobi è mormorare del suo Creatore. Se considera solo l’orrore della colpa di chi osò negare l’esistenza dell’Infinito Essere, e di ripudiare positivamente il suo dolcissimo dominio, non può che applaudire alla sua solenne manifestazione, sia pur nel terrore del flagello, e non può che elevarsi a Lui in un purissimo atto di amore.

 

Da "La Sacra Scrittura - L'Apocalisse" di Don Dolindo Ruotolo, pagg. 206-211 (pubblicato nel 1974 con Imprimatur di Mons. Vittorio. M. Costantini, Vescovo di Sessa Aurunca)

 

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A cura di "Profezie per il Terzo Millennio" - Dicembre 2006
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