EDUCAZIONE, MISSIONE E CULTURA

UN’AFFASCINANTE AVVENTURA DELL’EDUCAZIONE E DELLO SPIRITO
INTERVISTA A PADRE PIERO GHEDDO - 13 novembre 2003

 

 

CULTURA CATTOLICA

Padre Piero Gheddo

Padre Piero Gheddo, lei in questo suo bel libro "La missione continua", parla spesso che vengono citati a sproposito i luoghi comuni dell’ideologia terzomondista. Innanzitutto in che cosa consiste questa sua ideologia terzomondista? E qual è la realtà...

Veniamo da un periodo di almeno cinquant’anni circa, in cui è prevalsa nel nostro paese, un po’ dovunque, una tendenza culturale di tipo laicistizzante, marxista-leninista, libertinista, che ha dominato, un po’ perché la D.C. si preoccupò poco della cultura, delle università, dei giornali, dei mass-media. Potrei portare degli esempi molto forti di tutto questo...

Da quando sono diventato prete, nel 1953, scrivevo già sui giornali, ho subito cominciato a collaborare, l’anno dopo, a tutti i giornali che mi chiedevano, prima al giornale cattolico "l’Italia" (come si chiamava allora l’ "Avvenire" di adesso) e l’ "Avvenire d’Italia" di Bologna. Raimondo Manzini mi conosceva, fin da subito. Il libro primo che ho pubblicato nel 1955 "Il risveglio dei popoli di colore", ha avuto traduzioni in inglese, francese, tedesco, spagnolo e gli han dedicato un articolo sulla prima pagina del "Corriere della sera". Avevo due, tre anni di messa.

Vivendo in un istituto missionario e con tanti missionari, informandomi, esprimevo quello che era il pensiero dei missionari di quel tempo riguardo problemi di quel tempo, cioè: l’indipendenza, le nuove nazioni e - cosa inusuale - nei primi 15-18 anni di Messa, avevo la fama di un prete che ha girato, che conosce il terzo mondo, ma di... sinistra, perché dicevo cose che allora la stampa comune non recepiva: il diritto dei popoli, l’indipendenza, l’uguaglianza di tutti gli uomini, la giustizia sociale internazionale. Nel 1962 sono stato invitato alla Settimana sociale dei cattolici italiani che quell’anno si è fatta a Como, intitolata "Chiesa e i giovani in azione", e la mia era una delle tre relazioni principali (avevo 32 - 33 anni). M’invitavano anche in campo comunista, socialista, democristiano, per i festival dell’Unità, ma naturalmente io comunque dicevo quel che pensavo, poi mi contestavano. Però continuavano ad invitarmi, alla biblioteca comunista, ai circoli, ecc. Quello che mi ha rotto con tutte le sinistre italiane, sono stati due fatti. 1) il Vietnam: negli anni 68-69 io sono andato su invito dei vescovi vietnamiti per vedere la situazione locale e portare in Italia e in altri paesi europei quel che era il pensiero e l’esperienza dei cattolici vietnamiti. Il pensiero dei cattolici vietnamiti non coincideva assolutamente con quello che pensavano i comunisti in Italia e questo ha creato la rottura completa con tutte le sinistre italiane, comprese quelle "cattoliche". 2) Il secondo fatto è stato la forte contestazione ecclesiale - in quel tempo contro Paolo VI - ed io invece, ho sempre preso le parti del Papa e del Magistero. Scrivevo su tanti giornali anche laici e quindi avevo una voce abbastanza ascoltata.

Ho letto sul suo libro, che quando Lei era direttore di "Mondo e missione" e ha parlato a favore dell’Humanae vitae, ha avuto un sacco di contestazioni, ma c’è stato anche chi l’ha lodata.

Questo è un esempio, ma ce ne sono tanti altri. Sulla liturgia, io tenevo la parte del Papa, della Chiesa, perché la mia mentalità, la mia fede era ed è quella. Noi veniamo da un 45-50 anni in cui la cultura dominante in Italia era quella lì, sinistreggiante, laicizzante, libertinista, marxisia-leninista, terzomondista.

 

IDEOLOGIA TERZOMONDISTA

Che cos’è questa ideologia terzomondista?

La mentalità terzomondista attribuisce tutte le colpe o grandissima parte delle colpe del divario tra ricchi e poveri, tra Nord e Sud, solo al fatto che noi abbiamo dilapidato le materie prime, abbiamo oppresso e quindi questi popoli non si sono sviluppati. L’idea fondamentale, contro la quale io combatto - non certo a partire da un’altra ideologia, ma dalla realtà dei fatti - è che l’occidente ha sì grandi responsabilità, non c’è dubbio, sia storiche che attuali, però la radice di questo sottosviluppo non va ricercata nell’economia, nei commerci, nei rapporti diplomatici, ma cercata in quel che è la storia di ogni popolo. Non si capisce l’oggi dei popoli, né la diversità tra i vari popoli senza tener conto del loro diverso cammino storico. Noi siamo figli della nostra storia, quindi noi siamo i popoli sviluppati soprattutto perché veniamo 2000 anni dopo Cristo. La Bibbia, la parola di Dio, la manifestazione di Dio in Gesù Cristo hanno dato all’uomo, ai popoli che per primi sono stati evangelizzati, tutti i concetti, tutte le idee base che sono alla radice dello sviluppo che noi oggi conosciamo, ma mica solo economico, ma anche sviluppo tecnico, scientifico, democratico, sviluppo dei diritti dell’uomo e della donna ecc. Il legame tra evangelizzazione e sviluppo è espresso da Papa Paolo VI nella "Populorum progressio".

 

VANGELO E SVILUPPO

È evidente che lo sviluppo dell’uomo non può venire che da Dio, se noi crediamo in un Dio Creatore, Salvatore, Padre che sta nei cieli è impossibile pensare che lo sviluppo dell’uomo venga solo dalla sua intelligenza, viene innanzitutto da Dio. Quindi Dio non solo ha dato i dieci comandamenti ma ha donato Gesù Cristo, le beatitudini, ecc. perché l’uomo s ‘incamminasse in una via che porta a Dio, perché l’uomo deve tornare a Dio, e questa è la via dello sviluppo dell’uomo. Quando ci allontaniamo da questa prospettiva viviamo molte volte in una forma di schizofrenia spirituale ed esistenziale. A volte accade anche per noi cristiani di parlare della vita spirituale: l’uomo va in chiesa, prega, i comandamenti, le preghiere, i sacramenti ma poi la vita pratica è un’altra cosa, eh no! Quindi anche nei popoli è così. I popoli poveri, non tecnicizzati, i popoli in via di sviluppo, quelli che nella loro storia non hanno ricevuto, senza loro colpa, questo input, queste idee nuove, queste idee veramente rivoluzionarie, non hanno potuto svilupparsi bene. Spiego quali sono le idee: la dignità assoluta dell’uomo creato ad immagine e somiglianza di Dio, il dominio sulla natura, natura creata per l’uomo; il senso dell’uguaglianza di tutti gli uomini, quindi la dignità di ogni uomo; uguaglianza di diritti e doveri; l’idea di Stato sociale; la dignità della donna; la dignità del lavoro, guadagnare il pane col sudore della tua fronte. S. Paolo dice: "Chi non lavora non mangia", mentre noi sappiamo che nelle civiltà pagane, il mondo greco-romano, il lavoro manuale e materiale era considerato lavoro da schiavi. La terra non la coltivavano mica i liberti, i romani, ma lo facevano gli schiavi, i prigionieri di guerra ecc.

 

DIVERSE RELIGIONI, DIVERSI CAMMINI

Questo vale anche per l’islam, per il buddismo, bisogna andare in quelle radici religiose per capire il diverso cammino dei popoli. I popoli occidentali si sono sviluppati per primi perché hanno avuto il contributo di questa maturazione, attraverso i secoli, delle idee che Dio ha donato all’uomo, in Gesù Cristo e a poco a poco la nostra società si è incamminata verso uno sviluppo. Questo non vuol dire che solo noi siamo buoni cristiani, non vuol dire che siamo migliori di altri, no, però questo progresso moderno che noi conosciamo, il cui fondamento è contenuto nella carta dei diritti dell’uomo e della donna 1948 dell’ONU, viene da radici cristiane, non si trova così al di fuori delle radici cristiane, non si trovano fuori quelle idee lì, e qui ho un esempio bellissimo da raccontare. Nel 1948 fu approvata la "Carta dei diritti dell’uomo e della donna". A quel tempo l’ONU aveva 36 paesi membri, erano quasi tutti occidentali e quella carta dei diritti dell’uomo e della donna riproduceva tutta la filosofia, la religione, i contenuti del progresso occidentale, quindi anche la dignità dell’uomo, ecc. Quando i paesi dell’Onu a poco a poco da 36 sono arrivati a 120, 130, la maggioranza non erano occidentali, non erano cristiani, e quindi questa carta dei diritti dell’uomo e della donna a volte non la accettavano: no la donna non deve essere uguale all’uomo. Bisogna dire che oggi, cinquant’anni dopo quella carta dei diritti dell’uomo e della donna, le idee che venivano dall’occidente, che venivano dalla Bibbia, dal Vangelo, maturate, sono penetrate dovunque, quindi oggi sembra un po’ difficile ricordare questo. Quando nel 1961 è diventato segretario dell’ONU, fino al 1971, U-Tant, birmano, ben conosciuto dai nostri missionari come un grande uomo religioso, la prima cosa che ha fatto è impegnarsi ad "aggiornare" la Carta dei diritti chiedendo di integrare altri contributi e così ha costituito dei comitati buddisti, musulmani per trovare un’altra stesura, un altro modello di carta dei diritti dell’uomo e della donna. Li ha finanziati, ha fatto convegni, incontri, ha fatto anche un bollettino di lettura che mi mandava, perché io ero membro dell’UNESCO a quei tempi, "a oriente e a occidente grande incontro di cultura", usciva ogni 2 o 3 mesi con i contributi. Non hanno concluso nulla, cioè a partire dal buddismo non tiravano fuori nessun diritto dell’uomo e della donna.

Benedetto Croce diceva: "non possiamo non dirci cristiani". Alla luce della sua esperienza e di quello che lei afferma, anche nei suoi libri, e della lettura culturale che ci ha fatto degli ultimi 50 anni, si potrebbe affermare che "non possiamo non essere- in qualche modo - marxisti"? Come mai tanti cattolici si sono fatti plasmare da questa falsa ideologia, si sono uniformati, forse non solo con ingenuità, ma anche in modo sprovveduto?

Sì, sì.

Per esempio nel suo libro, a proposito dei cosiddetti "no global" che sono anti-occidentali, ma, non per i poveri, a pag. 22 del suo bel libro "Davide e Golia" se ho ben capito, lei dice, guardate, ci sono ingiustizie, c’è la malattia, ma la medicina non è questa qua, non è la filosofia "no global". La mia domanda è: non le sembra che questi "no global" riciclano - non troppo sotto mentite spoglie - il classico schemino marxista? Una volta era il capitalismo - il diavolo - ora sono le multinazionali. È vero che questi sistemi pongono dei problemi, ma la medicina a mio avviso come allora non era il comunismo, così oggi non è i "no global". Lei ha molta esperienza, so che è stato a Genova al G8, ha visto di tutto, che ne pensa di questi cattolici che sono andati a marciare insieme ai marxisti.

Chiedermi il "perché" è difficile. Questo fenomeno inquietante l’ho visto chiaramente dopo il Concilio nel ‘68, lì è iniziata una spaccatura nel mondo cattolico italiano e anche di altri paesi e anche tra i missionari. Spaccatura profonda perché fino al Concilio, e durante il Concilio su questo punto, eravamo, dico il mondo cattolico, unitissimo. In tutto, ma proprio in tutto, nei convegni, negli incontri, nelle iniziative. Si pensi alle tante iniziative messe in atto dal mondo missionario negli anni 50-60. Davvero eravamo tutti uniti, lavoravamo per quell’idea lì, eravamo uniti sui metodi, sulle finalità, quando imitavamo i grandi e autentici, come Follerau, ecc., eravamo uniti. Poi è cominciato il dramma. Non so fare adesso un’approfondita analisi culturale.

 

CONCILIO E ANTI-CONCILIO

Nel suo libro Lei dice che questo sbandamento non è stato dovuto al Concilio.

No, no.

Ma qualche cosa subito dopo il Concilio ha cercato di infiltrarsi, di approfittare.

Ma tu lo sai bene che il Concilio è stato una grande "rivoluzione" positiva nella Chiesa però bisognava intendere, interpretare e applicare rettamente il Concilio. Per esempio il tema del dialogo interreligioso, dell’ascolto dell’altro, temi bellissimi. Paolo VI ha fatto addirittura la sua prima enciclica sul dialogo. E stato eletto nell’agosto 63, e già nel marzo 1964 ha scritto questa enciclica sul dialogo che si chiama "Ecclesiam suam", nella quale diceva che la trasmissione del vangelo non è un’imposizione, ma un dialogo, un dialogo con le religioni, ma subito dopo, per una cattiva interpretazione, questa posizione è stata estremizzata e assolutizzandola e trasformandola in un opzione unilaterale, e alla fine si pensava, falsamente, che i cattolici non avevano più niente da dire, dovevano solo ascoltare gli altri. Paolo VI afferma chiaramente: bisogna partire da una precisa identità cristiana, da una fede, da un amore a Cristo, allora tu ascolti l’altro e agisci rettamente ecc.. Per colpa di questo strabismo culturale, nel campo sociale, ecco l’egemonia del marxismo, del leninismo. Ricordo bene che in quegli anni lì, 68, 69, 70, in cui c’è stato questo mortale compromesso per la fede, col comunismo, si sono chiuse le valide e rilevanti Settimane sociali dei cattolici italiani.

 

LE SETTIMANE SOCIALI DEI CATTOLICI ITALIANI

In che anni?

1969-1971. La crisi è cominciata nel 1968-69. Le Settimane sociali dei cattolici italiani sono riprese poi nel 1993-1994, cioè 20-25 anni dopo. Perché furono chiuse? Perché moltissimi contestavano il fatto che si potesse fare una sociologia a base cattolica, di ispirazione cristiana, che si potesse cioè avere una dottrina sociale della chiesa. I contestatori dicevano: "Gesù ha dato l’orientamento, il modello per una vita spirituale cristiana, quindi dobbiamo vivere Gesù, le virtù, i sacramenti, la preghiera, andare in chiesa, la Messa, ma la base della società non l’ha data Gesù, dobbiamo andare ad una ricerca scientifica, ad un metodo scientifico, ad una prassi filosofica quale il marxismo, il leninismo. E così, grottescamente, nel 1972, - io vi ero presente come fiero oppositore - sono nati i "cristiani per il socialismo" (sic!). Ero in Cile quando hanno iniziato, ero andato come corrispondente dei vari giornali, perché negli anni ‘58, ‘59 a fino al ‘93, ‘94 ero inviato de "Il Giornale", "Gente", "Epoca", "Il Giorno" e "Il Corriere della sera". Questi cosiddetti "cristiani per il socialismo" pretendevano che i cristiani, rimanendo cristiani, dovevano assorbire e praticare l’analisi e la prassi della società di quel marxismo che allora era assurdamente considerato un’analisi scientifica della società. Si comprende come, con questo compromesso e con questo tradimento della fede, i cristiani andavano a rotoli, perché l’analisi cosiddetta scientifica del marxismo è invece tutta sballata, perché si fonda su un’antropologia atea.

 

IL MAGISTERO DENUNCIA I VELENI IDEOLOGICI

Nel marxismo teoria e prassi coincidono, dunque aderire alla sua prassi, significa aderire anche alle sue teorie false e mortali, come ha detto il cardinale Ratzinger. Nel mio libro "La Missione continua" ho denunciato il fatto che sono usciti i due documenti della Congregazione per la Dottrina della fede, scritti dal cardinale Ratzinger, contro la falsa teologia della liberazione compromessa col comunismo e mettendo in rilievo il valore e il realismo della Dottrina sociale della Chiesa, ma da noi quasi nessuno ne ha parlato, eppure si tratta di documenti così chiari, così precisi così coerenti, caduti nel dimenticatoio. Invece in America sono stati accolti benissimo, discussi. hanno orientato le chiese latino-americane. Chi non è superficiale capisce subito, allora che sono usciti prima i "cristiani per il socialismo", poi la falsa teologia della liberazione e tutto questo ha preparato il terreno a nuovi cocktail ideologici: i "no-global" di oggi. Sono ancora quelli, si capisce: prima si chiamavano "cristiani per il socialismo", "catto-comunisti", (strane e grandi definizioni che io non ho mai approvato del tutto), adesso si chiamano no-global, ma la base ideologica è ancora quella.

 

GRAVI INCOERENZE DI CERTI PACIFISTI

Come si spiega questa "attrazione fatale" di una parte dei cattolici così suggestionati dall’ala marxista del movimento "no global"? Non si capisce. A Genova, per il G8, prima dissero di voler fare solo un incontro a parte, poi andarono a manifestare insieme ai disobbedienti di Casarini, agli uomini di Agnoletto e compagni. Di recente, sono andati ad un incontro con i "no-global", si sono accorti che sono violenti e si vorrebbero ritirare. Ma c’è sempre una parte "zoppa" che vorrebbe continuare lo stesso a stare con loro, come se l’unica soluzione consistesse nel mischiarsi con l’ala radicale e, diciamolo, anti-cristiana di questo pseudo-movimento.

Parole anche su tutto questo pacifismo più gridato, che sostanziato concretamente. Sono ovviamente anch’io per la pace (tutti siamo per la pace), ma quando vedo persone, movimenti, associazioni che oggi gridano e lanciano slogan sulla "pace assoluta", sull’impegno di abolire tute le armi, però quindici anni fa, le stesse persone o movimenti sostenevano la guerriglia in Nicaragua, in Salvador, il terrorismo in Sud Africa, la guerriglia in Mozambico, è logico che io contesto loro: "allora non eravate per la pace, per la pace assoluta, non bisognava togliere tutte le armi?"

"Allora volete togliere le armi solo a seconda del colore della bandiera che portate?". Non si possono giustificare dicendo: "si, quella volta ci siamo sbagliati". No, prima era la guerra contro il capitalismo, ora non c’è più nessuno che fa la guerra contro il capitalismo, allora fanno la guerra usando la parola "pace" come scudo.

 

CRISTIANI CON IDENTITÀ E FORMAZIONE MATURA

Lei ha detto una cosa molto bella, in un capitolo del suo bellissimo libro: "Bisogna ripartire da un’identità cristiana, riprendere o ripartire. Possiamo dialogare, ma prima bisogna avere una formazione". Come mai c’è tutta questa spinta a rinunciare e a mimetizzare la nostra originalità cristiana. Non pensa che ci sia una debolezza spirituale, ma anche culturale?

Sì, ma prima di tutto per me c’è una debolezza di fede, spirituale.

Cioè, Lei pensa che quelle persone che non hanno una viva identità cristiana hanno dei vuoti nella loro vita di fede; cioè che loro già zoppicavano quando poi hanno abbandonato una vita e una cultura di fede.

Senza voler giudicare le persone, perché si trovano parecchie posizioni diversificate in questo movimento o galassia "no global". Tra l’altro bisogna distinguere quello che è il piccolo "no global", la ragazzetta, il giovanotto, entusiasti un po’ per tutto e quindi con un’adesione solo emotiva, dalle persone più adulte, più mature, che fanno queste scelte e le portano avanti, allora voglio dire a questi cari amici, amiche, ragazzi: "prima chiedetevi se voi siete tutti di Cristo, cosa conta Gesù Cristo nella vostra vita, cosa conta la Chiesa nella vostra vita. È bene, giusto e lodevole che si voglia fare un’opera sociale, politica, ma bisogna partire da un’identità precisa, da una buona formazione di base, culturale e spirituale, altrimenti, finite vittime di quelle ideologie lì, quelle ideologie che conducono nella schiavitù dell’Egitto, a Babilonia, a Gerico, insomma che distruggono Gerusalemme.

 

COINVOLGIMENTO PERSONALE DI SOLIDARIETÀ

Sempre nel suo libro "Davide e Golia", se ho capito bene il suo pensiero, lei dice che si finisce per cadere e riproporre il vecchio schemino ottocentesco marxista, perché si vuole solo contestare spesso violentemente, ma non si ha e non si propone una vera alternativa. Soprattutto non si è capito che se vogliamo veramente cambiare il mondo - e non solo operare una sostituzione al vertice - dobbiamo essere noi buoni cristiani, validi cristiani, buoni testimoni: più noi viviamo bene la nostra fede e la nostra testimonianza cristiana più il mondo cambia realmente, "dall’interno" (i cristiani sono sempre stati il lievito, il sale, che fermenta e dà sapore a tutta la pasta). Molto bella la provocazione che Lei rivolge ai ragazzi "no global": volete veramente andare controcorrente, essere veramente alternativa al sistema? Invece di andare a gridare slogan, a fare manifestazioni di poche ore, a farvi strumentalizzare da chi non vi ama, venite uno o due anni in missione a darci una mano!

Sì, in questa ideologia, chiamiamola terzomondista o qualcosa di simile dei no-global, finisce per prevalere la protesta, la denunzia, la condanna, l’invettiva contro Bush, contro le multinazionali, contro Berlusconi, contro il capitalismo, contro le banche, contro i poteri forti, sempre e solo contro. Io non sento proposte positive, perché è molto facile firmare un appello per ridurre le armi, contro le multinazionali. Firma pure, ti chiedono solo una firma,. così tu hai .l’impressione mettendo solo una firma di essere un eroe. Ma il problema non si risolve se non passa per un tuo coinvolgimento personale di solidarietà autentica, quando non passa "per la tua carne e per il tuo sangue". Voi che siete giovani, che dite di avere in mano molti giovani che vi seguono, fate proposte positive a questi giovani. In ogni occasione. Una settimana fa, a Trento, ho parlato agli alunni del liceo. Qualcuno mi aveva detto che c’erano dei "no global", comunque io ho detto: "sentite, facciamo due proposte di coinvolgimento personale e queste proposte fatele vostre, diffondetele con i vostri mezzi, volantini, discussioni di classe, manifestazioni. 1) Cari giovani, primo rinunziate alle discoteche, è una perdita di tempo, uno spreco di soldi e una perdita di energie, voi siete giovani, impegnate il vostro tempo, quel tempo in attività più positive, che portano frutto vero, impegnatevi nel lavoro, nello studio, nel dormire bene, nel pregare, nell’occuparvi "prima del Regno di Dio" (Mt 6,33), rinunciate alle discoteche, insomma, al superfluo. Io non so bene qual è il vostro superfluo. 2) Mi fa paura quando penso che l’Italia è un paese di più alta densità di telefonini. Io ho 74 anni, una certa posizione, ma non ho mai avuto né intendo comprare il telefonino. Qualche rara volta che ne ho bisogno, lo chiedo a qualcuno. Perdete un sacco di tempo per telefonare per stupidaggini. Ecco io vi propongo di fare proposte di questo genere, ovviamente finalizzate ad un’attività umanitaria-missionaria, all’evangelizzazione. Ricordatevi che nella vita non si costruisce nulla di bello se non c’è la rinunzia, per giungere ad una meta alta. La rinunzia però deve essere vostra, non costringere gli altri; le multinazionali sono un paravento mitico: voi stessi quando comprate gli zainetti firmati e i jeans firmati, siete multinazionali, ragazzi usano scarpe Nike, bevono la Coca Cola, dunque siete il sostegno delle multinazionali. Non puntate sulle multinazionali, ma puntate su voi stessi, proponete e vivete aspetti positivi. La proposta maggiore non è rinunciare alla Coca Cola o che so io, ma è dare voi stessi, una parte di voi stessi, della vostra vita per i popoli poveri. Voi volete aiutare i popoli poveri, molto bene, ma la prima cosa è questa, prima educarli alla rinunzia, quindi discoteca e ogni cosa superflua, togliere tutti gli sprechi e darlo ai poveri. Secondo punto è dare la vita o dare parte della vostra vita, per le missioni. Noi abbiamo parecchi laici che vengono con noi in missione due anni, tre anni; queste sono esperienze che cambiano la vita, non dico che tutti possiate andare, ma almeno proporvi, preparavi per un incontro con i popoli poveri.

 

GLOBALIZZARE L’EDUCAZIONE CRISTIANA

Un missionario che dà la sua vita, che spende il suo tempo, le sue energie per i poveri in missione è un profeta; chi invece contesta solo, sbraita, rompe e distrugge, pur dichiarando di essere per i poveri, con i poveri non vive in solidarietà, li usa come alibi per le sue "guerre" e quindi è un falso profeta.

Padre, lei nel capitolo quarto di "Davide e Golia", che è un libro bellissimo, parla di una risposta cristiana alla globalizzazione. Il Papa ha detto: la globalizzazione non è né tutta negativa, né tutta positiva; va educata, disciplinata, soprattutto preoccupandosi di globalizzare la solidarietà. Lei, giustamente, insiste molto sull’educazione, e afferma che il vero sviluppo consiste nell’educazione completa. Non si tratta solo di soffermarsi sul problema dei soldi, la grande illusione di questo occidente secolarizzato. La grande risposta cristiana alla globalizzazione, consiste nel globalizzare l’educazione cristiana.

Infatti è appunto questa la risposta: dobbiamo capire che lo sviluppo dell’uomo viene dalla formazione, dall’educazione, ma non parlo solo degli africani, parlo di noi, quindi anche nel nostro mondo ricco oggi materialmente, però che ha perso ideali, che ha perso cariche autentiche: bisogna educare, lasciarci educare, nella vostra vita. Se parlo ai giovani, poi lo dico alle mamme, ai papà: non insegnate ai vostri figli solo a fare tanti soldi o a occupare solo i primi posti nella società, presto lo faranno magari, perché magari sono capaci. Colui che insegna deve essere buono, deve essere l’insegnante del vangelo, perché è questo che dà la felicità agli uomini, spendere la vita per gli altri. Certo lasci la tua famiglia, la tua professione, però è un’educazione che parte proprio dall’interno del cuore. Per esempio voi giovani mettete anche come ipotesi, la prospettiva di andare qualche tempo in missione o che possiate avere la vocazione missionaria: chissà quante vocazioni di preti o di suore ci sono dentro di voi e non le seguite. Duecento e più alunni mi ascoltavano.

 

IL CONTRIBUTO INSOSTITUIBILE DEI MISSIONARI

Padre, perché pensa che diminuiscono le vocazioni missionarie?

Quando una volta ho chiesto a Madre Teresa: "perché madre, diminuiscono le vocazioni sacerdotali?" Lei ha detto: "perché i nostri istituti e le nostre diocesi non offrono ai giovani una sfida ma una sistemazione!". Bello eh? Perché è vero. E io potrei aggiungere questo: perché purtroppo si sta perdendo l’immagine del missionario nell’opinione pubblica, in forza di questa animazione missionaria sbalestrata sul piano sociale, politico, sul piano terzomondista, ridotta solo ad impegno socio-economico, il missionario perde la sua identità. Chiediamoci: nell’opinione pubblica generale, chi è il missionario? No lo sanno più dire, quindi bisogna recuperare questo senso spirituale.

In uno di questi bei articoli che ho pubblicato sul nostro giornale di giugno 2003, Lei afferma che ci sono due abbagli colossali che si fanno. 1) Uno consiste nell’analisi sbagliata delle cause della povertà; 2) L’altro è che viene ignorato l’insostituibile contributo dei missionari. Cita la "Redemptoris Missio" dove proprio il Papa si lamenta che questo contributo specifico è ignorato mentre addirittura persone cattoliche riconoscono che i missionari sono stati decisivi per lo sviluppo.

Questi "no global", di cui più del 60% pur sono cattolici, quando parlano dei missionari? Mai! Eccetto se il missionario protesta contro una multinazionale, allora diventa un eroe, tutto lì.

 

CRISI INTERNA

Nel libro "Davide e Golia", giustamente, Lei ha fatto notare che anche il documento dei superiori religiosi, per il G8 di Genova, neanche quello ha citato il contributo e l’importanza dei missionari nello sviluppo dei popoli. La cosa grave non è se non lo riconoscono gli altri, ma il fatto che noi stessi, abbiamo gli occhi bendati sulle ricchezze di sempre della Chiesa.

Purtroppo questo squilibrio che tu indichi è una cultura che è penetrata dappertutto, questo è il problema.

Ma c’è anche una crisi interna.

Certo, si capisce, crisi interna dei missionari!

 

RELATIVISMO RELIGIOSO

Crisi interna che si aggancia ad una crisi teologica, perché Lei nel suo libro "LA MISSIONE CONTINUA", a pag. 104, parla dei due fattori che hanno rovinato la missione, 1) la secolarizzazione della fede; 2) e il relativismo religioso. Questo relativismo religioso (e Lei ha il conforto dell’esperienza di essere stato in tutto il mondo), sicuramente è una delle componenti forti, perché soprattutto in occidente, se uno dice che Gesù è l’un Signore e che la fede cattolica è l’unica vera, l’unica rivelata da Dio, arrivano pietre da tutte le parti. Se uno invece "vede" la fede e dice che Gesù è uguale agli altri, oppure che Gesù e gli idoli del marxismo coincidono, allora lo portano in televisione, addirittura gli fanno fare un film.

È verissimo.

 

LE STAGIONI DELLA CHIESA

Sempre nel suo bel libro, a pag. 106- 109, a proposito della "Dominus Jesus", Lei dice: "quando l’ho letto ho gioito, come ogni cattolico di buon senso e invece, anche all’interno della Chiesa ci sono stati degli assurdi attacchi ai contenuti del documento". Alla luce della sua esperienza come si possono comprendere queste incredibili forme di autodemolizione (come diceva Papa Paolo VI), che implicano la negazione della verità e il fatto di calpestare il dono di Dio.

La fede va custodita e promossa in modo autentico e fedele. Io sono nato nel "tempo delle certezze", ho avuto la fortuna di nascere nel tempo delle certezze, gli anni 1929-1940, quando la mia famiglia, la mia parrocchia, il mio vice-parroco, il mio oratorio e poi l’azione cattolica davano una certezza della fede che era meravigliosa, ti dava forza, ti dava coraggio, ti dava gioia di vivere, ti preparava alle battaglie della vita. Bisogna ritornare a quelle certezze lì, ravvivare quel clima educativo efficace. Poi è venuto il "tempo dell’entusiasmo della fede", il tempo del Concilio, in cui giustamente si è voluto aprire, evitare una fede chiusa, di contenimento, da chiesuola. Il Concilio, ecco la grande intuizione di Giovani XXIII: apriamo i tesori della Chiesa, col Concilio, a tutto il mondo, la Chiesa è missionaria per sua natura, noi siamo per la missione, per impiantare la Chiesa dovunque, siamo per tutto il mondo. E lì è stato il "tempo degli entusiasmi della fede". Poi però nel ’68 si è combinata la contestazione al modo di vita occidentale e anche alla Chiesa, ed è venuto il "tempo della confusione delle idee".

 

FORMAZIONE ALLA FEDE

Sempre nel suo libro Lei afferma che una volta nei seminari si insegnavano poche cose, ma buone, adesso la prima cosa che ti mettono davanti sono le ipotesi, i dubbi, le contestazioni. Esprimo la mia opinione, ma non voglio mica insegnare a qualcuno come insegnare teologia nel seminario, perché non sono un professore. Una volta ho parlato con un professore di un seminario teologico abbastanza importante e gli dicevo: "Ma, dimmi un po’, rispetto a pochi anni fa, come ti pare che si insegni? "Ma, guardi, una volta venivano in seminario ragazzi, giovani già formati religiosamente, grazie alla parrocchia, alla chiesa, all’azione cattolica; erano giovani che venivano da famiglie cristiane, adesso vengono tanti buoni giovani, anche più adulti, buoni, pieni di buona volontà, però non hanno mica le basi della fede, forse non hanno mai studiato o approfondito il catechismo, o hanno studiato per misericordia. Quindi questi giovani che vengono pieni di buona volontà, ma senza un contenuto forte di fede, di ragionamento, di struttura della fede, noi buttiamo lì le ultime cosiddette "scoperte" teologiche, le ultime novità, creando così una confusione enorme. Dovremmo ritornare, diceva lui, - a causa di questo vuoto di base - al catechismo di Pio X". È una battuta ovviamente. "Bisogna tornare a quella che è la formazione elementare della fede sulla quale poi costruire anche le riflessioni, invece noi - senza questi solidi fondamenti - buttiamo dentro il greco biblico, l’esegesi e la filologia.

 

NUOVI LUOGHI DI MISSIONE

Nel suo libro "La missione continua", a pag. 143, Lei parla dei nuovi luoghi di missione. Perché usa questa espressione e quali sono. Perché Lei parla di nuovi luoghi di missione, qui in occidente.

Io parlo della missione alle genti, "missio ad gentes", di nuovi luoghi e anche di nuovi metodi perché la missione, deve raggiungere le città, i grattacieli, i diseredati, l’informazione, i massmedia, il giornalismo. Quando sono diventato missionario, nel 1953, dovevo partire per l’India, non c’era nessuna idea su come fare il giornalista in missione, nessuno pensava di andare nelle favelas; noi andavamo a fondare la chiesa, in un certo posto. Ero infatti uno dei quattro destinati a fondare la diocesi di Warangal, in India nei pressi di Handrha Pradesh, a sud, sud-est dell’India, che adesso è già diocesi da molti anni. Andare in un posto nuovo, fondare la prima casa, imparare la lingua, mettersi dentro il luogo e la gente, questo è il concetto di missione ad gentes: oggi la chiesa è fondata un po’ dappertutto, e la politica giustissima della Santa Sede è stata di moltiplicare le diocesi. In Asia dal 1959 al 1999 si sono decuplicate le diocesi, perché hanno diviso il territorio (e ci sono ancora paesi che sono senza), però queste diocesi a volte non hanno ancora le comunità. Intanto il terzo mondo non cristiano, si è complicato moltissimo, non è più un mondo povero di contadini, perbacco. In India ci sono delle città meravigliose, se sei stato a Bombay, Bangalora, mamma mia vedi di quelle industrie! In tutta la valle vicino a Bangalora, ci sono dei computer, simile all’America.

 

IL TEMPO DELL’ENTUSIASMO PER LA FEDE CATTOLICA

Quindi lei dice, nuovi luoghi, sia nel senso di rivolgersi a nuovi referenti, sia nel senso di usare mezzi nuovi.

Certo, sia nuovi soggetti, sia mezzi nuovi e strumenti nuovi. Negli ultimi tempi, specialmente negli ultimi 10-15 anni, un po’ tutti gli istituti missionari si sono buttati sui mass-media perché noi creavamo i cristiani, formavamo, ma poi non davamo niente da leggere, cioè non ci preoccupavamo di stampare libri nelle loro lingue. Tu pensa che in Africa ci sono più di ottocento lingue parlate, sai in quante è stata tradotta la Bibbia? Solo sessantadue! E in quante è stato tradotto il Vangelo? In 320 hanno tradotto il Vangelo. Eppure sono ottocento lingue, non dialetti. In Asia poi, non ne parliamo. Ecco perché Giovanni Paolo Il, dice nella "Redemptoris missio" che la missione è ancora agli inizi, sta incominciando adesso. Nonostante siano passati 2000 anni sta incominciando adesso, perché adesso abbiamo un panorama meraviglioso: la globalizzazione. Quindi questo dovrebbe essere "il tempo degli entusiasmi e della fede cattolica". I giovani dovrebbero essere nutriti, di questi alti ideali evangelici. E necessario trasfondere questa passione per Gesù Cristo.

 

IL CONCETTO CONCILIARE DI TRADIZIONE

Quando lei afferma che la vera emergenza è quella educativa e culturale, vuole ricordare, di fatto, innanzitutto la centralità della signoria di Cristo. Saremo missionari del maestro, se prima siamo innamorati del Maestro. Giustamente Lei dice: "se non bruciamo d’amore per Gesù, come possiamo incendiare gli altri?" Non c’è dubbio che è in crisi il concetto conciliare di Tradizione, infatti mentre il Concilio si è posto nel solco dello "sviluppo nella continuità" e della "continuità nello sviluppo", come dice Papa Giovanni XXIII, alcuni, dopo il Concilio e contro il Concilio, hanno mirato a rompere l’equilibrio indicato da Giovanni XXIII, quasi imponendo una "frattura" col "continuum" della Chiesa e quindi favorendo una perdita della vera Tradizione; che non nasce e non può nascere solo oggi, sotto la pressione di ideologie contro-conciliari.

La denuncia dell’affievolimento del concetto conciliare di Tradizione, viene dal Direttorio Generale per la Catechesi (1997), della Congregazione del Clero che afferma chiaramente: "Mentre il concetto di "Rivelazione" impregna ordinariamente l’attività catechistica, il concetto conciliare di "Tradizione" ha un minore influsso come elemento realmente ispiratore. Di fatto in molte catechesi, il riferimento alla Sacra Scrittura è quasi esclusivo, senza che la riflessione e la vita bimillenaria della Chiesa l’accompagni in modo sufficiente. La natura ecclesiale della catechesi appare, in questo caso meno chiara. L’interrelazione tra Sacra Scrittura, Tradizione e Magistero, "ciascuno secondo il proprio modo", non feconda ancora armoniosamente la trasmissione catechistica della fede" (Esposizione introduttiva, p. 32-33). Tutti parlano solo della Bibbia ma non citano quasi più i Padri, il Magistero, la Liturgia, la vita e gli insegnamenti dei Santi e dei Dottori della Chiesa, la Storia della Chiesa, ecc. Lei afferma, giustamente, che si perde l’identità e il senso spirituale del missionario, ma c’è anche l’idea di chiesa, l’idea di testimonianza, l’idea di comunità che sono modificate sotto la spinta del secolarismo e delle ideologie. Lei è nato nel "tempo delle certezze", è stato meglio messo a contatto e ha aderito pienamente a quel concetto conciliare di Tradizione viva della Chiesa; e avendo avuto questa buona educazione Lei, adesso è anche un buon educatore, è un buon missionario. Alla luce della sua esperienza, come possiamo fare a recuperare questo sano concetto conciliare di Tradizione?

Io non so come si può fare. Nel mio piccolo istituto, per esempio, da dieci anni (prima ero a Milano direttore delle riviste, giravo il mondo, giornalismo, collaboravo), sono stato messo all’Istituto storico del Pime. Devo confessare all’inizio, con molta rabbia, perché abbandonavo un giornalismo attivo (che però poi non ho abbandonato del tutto). Col passare del tempo invece mi sono reso conto che è stata una decisione provvidenziale, perché nel Pime, che è un piccolo istituto, ero l’unico preparato a recuperare la Tradizione. I superiori si sono accorti proprio di quello di cui mi parlavi tu, che cioè stiamo perdendo il senso della Tradizione nella Chiesa anche nel mio istituto: i giovani che arrivano non sanno niente del passato, della storia viva e feconda che lo Spirito Santo ha scritto nel nostro istituto e nelle nostre missioni e così tutta questa ricchezza è difficile trasmetterla. Allora hanno messo me, ho potenziato ciò che già esisteva (c’era già qualcosa, ma non funzionava) e in vent’anni abbiamo prodotto parecchio nel campo dei libri, delle riviste, delle concause di canonizzazione, biografie di missionari, convegni di studi, in modo che i nostri giovani missionari che vengono educati a essere missionari, ricevono gli strumenti per conoscere e inserirsi in questa storia santa, prendono coscienza di far parte di una famiglia di Dio che cammina nella storia. Io stesso faccio scuola, in seminario, nel Pime a Roma. Abbiamo un seminario filosofico a Roma di storia del Pime che interessa molto i ragazzi perché vengono a 18, 20, 22 anni a farsi missionari, ma questo prima d’aver conosciuto un missionario in carne ed ossa, qualcuno cioè che essi non sanno che cos’è. Allora tu fai la storia, due ore la settimana, in cui dici quali sono le grandi personalità, i santi, la tradizione, cosa hanno fatto. Bello, bello, a me piace!

 

LA SUA VITA SPIRITUALE

Padre, ora l’ultima domanda, forse questa è la più importante: ci può dire qualcosa della sua vita spirituale? Quando vedo un sacerdote che è entusiasta, che è ricco , che è pieno dl fede, io penso che sicuramente questa è una persona innamorata della preghiera, che celebra bene la S. Messa, che vive bene i sacramenti, che si tiene in contatto con il Magistero della Chiesa, che vive la carità e che sa raggiungere gli uomini del nostro tempo portando loro l’unico Gesù "la Via, la Verità e la Vita" (Gv 14,6). Ci dice il segreto di padre Gheddo?

Ma non c’è nessun segreto. Ho avuto la fortuna enorme di aver ricevuto una grande educazione spirituale, ecclesiale, alla preghiera, alla rinuncia, al sacrificio, a tutte queste cose qui e ripeto in famiglia ho avuto mamma e papà santi. Non ti ho mandato il libro del mio papà? Devi leggerlo, te lo mando. Io ho avuto un papà e una mamma santi veramente, al mio paese ancora me lo dicono. Hanno saputo trasmettere un educazione cattolica autentica, di cui io godo i frutti. E la nonna che mi ha fatto da mamma. Per dire un esempio di mia mamma, quando è morta nel 1934 aveva dato alla luce tre figli, io ero il primo (1929), poi Francesco e Mario, poi ha avuto, quando è morta, un aborto di due gemelli: è morta proprio di aborto e di polmonite. In paese non c’erano gli strumenti. La mamma aveva 34 anni, anzi 32, era del 1902. Il paese s’è commosso perché ha lasciato tre bambini piccoli, è morta di parto.

È morta di parto, nel senso che i gemelli erano morti, è morta di parto coi gemelli, di polmonite, all’epoca non esistevano gli antibiotici. Trenta giorni dopo la morte si fa la S. Messa di trigesimo, la Chiesa si è riempita, il parroco esce per la Messa con i paramenti bianchi e la gente pensa: "Si sbaglia, la messa è da morto". Ma il parroco sai cos’ha detto, mi commuovo a pensarci: "No, no, non mi sono sbagliato, è che per la Rosetta non possiamo dire la Messa da morto, perché era già un angelo prima, quindi cantiamo la Messa degli Angeli". Questo al mio paese se lo ricordano bene.

Il mio papà poi non si è più risposato, è andato in Russia, ha mandato delle lettere bellissime che abbiamo tenuto nei cassetti per molto tempo e poi ultimamente il giornalista Giorgio Torelli le ha lette e ha pubblicato queste lettere che sono molto belle. In due anni abbiamo fatto tre edizioni del libro.

Sua madre le aveva insegnato la preghiera, la penitenza. Quindi la prima catechista è stata sua madre.

Mia mamma, ma soprattutto mia nonna. Io ho perso mia mamma che avevo cinque anni, poi la mamma del papà e la sorella del papà hanno fatto da papà e da mamma: erano due donne straordinarie e sante. Una famiglia, poi il seminario, ho avuto bei seminari, bei padri spirituali. Poi l’educazione c’è stata: quindi per me la preghiera, la messa, il breviario, il rosario ecc, ogni giorno.

Padre Lei dice il rosario ogni giorno?

Ne dico tre di rosari ogni giorno.

Come vuole la Madonna.

Dico un rosario solo, i tre rosari, sempre, non da moltissimi anni. Ho sempre pregato molto, perché ho sempre pensato che se io sono prete, quel che faccio viene da Dio, per cui se prego ottengo grazia per svolgere bene il mio ministero, il Signore mi aiuta. Se non prego, buonanotte. Si spegne la luce. Quindi la preghiera, la rinuncia, il sacrificio, insomma tante cose, ma non credo che sia una roba straordinaria, è una roba abbastanza comune.

Lei ha ragione, quando è stato educato era tutto così, adesso questa educazione è più un fatto straordinario, nel clima in cui siamo immersi.

Il problema è qui: bisogna recuperare quella tradizione lì, il concetto conciliare di Tradizione.

Grazie padre.

a cura di Don Guglielmo Fichera

 

 

 

 

 

Da Per maggiori informazioni cliccare sul logo n.17 - gennaio 2004 (per maggiori informazioni cliccare sul logo).
Pubblicato da "Profezie per il Terzo Millennio" su autorizzazione del direttore di redazione di "Fede e Cultura", don Guglielmo Fichera.

 


 

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