Ven. Madre Agnese Chiara Steiner:

la vita e le rivelazioni

 

 

 

LA VITA

Ven. Madre Agnese Steiner

Teresa Steiner nacque il 29 agosto 1813 a Tesido, a nord di Monguelfo nell’alta Pusteria, a quel tempo sotto la dominazione bavarese. Era la secondogenita di un matrimonio tra un vedovo di 69 anni, Simone Steiner, e una giovane di 25, Maria Sinner. Dai coniugi Steiner nacquero quattro figli: Maria, Anna (morta a sette anni), Giacomo e Teresa. Le fonti storiche li dicono contadini possidenti: una qualifica sociale che ai nostri giorni è paragonabile a quella di coltivatori diretti.

I primi anni della piccola Teresa non furono diversi da quelli delle bambine della sua età e della sua terra. Era particolarmente affezionata al padre Simone, uomo di salda pietà, aperto al buon umore. Simone Steiner morì quando Teresina non aveva ancora quattro anni, era il 23 marzo 1817.

La morte del padre lasciò un grande vuoto nell’anima della piccola Teresa; c’era, sì, la mamma, ma i testimoni dell’infanzia di Teresa sono concordi nel dire che l’affetto del padre era stato molto più intenso. Non che la mamma Maria non volesse bene alla figlia ma non era certo Teresa la prediletta fra le tre orfanelle lasciate da Simone.

Più che nella mamma, la piccola Teresa trovò un sostegno e una guida nella sorella di suo padre, Anna, che conviveva nella casa Steiner.

Dalla zia Anna la piccola Teresa imparò a pregare; da essa soprattutto fu iniziata alla meditazione della passione e morte di Gesù. Faceva non meno di tre ore di preghiera al giorno, togliendo il tempo necessario non alle faccende della casa, ma al sonno perché si alzava alle tre del mattino.

La morte di Simone Steiner, oltre a gettare Teresa nel dolore e nello sconforto, portò gravi disagi economici a tutta la famiglia Steiner. Per cui, benché in tenera età e di costituzione gracile, Teresa dovette darsi da fare per essere utile alla famiglia col proprio lavoro.

Ma non c’era molta comprensione per lei. «Mi facevano fare - racconta lei stessa - i lavori più difficili per i quali non avevo le forze e pare che tutto il più gravoso cadeva su di me».

Ma più grandi di queste sofferenze fisiche furono quelle morali. Di esse Teresa manterrà sempre un ricordo indelebile: «Io sono stata nei primi anni così piccola, gracile e debole per natura che le mie sorelle, le serve e tutti non mi potevano vedere in casa».

La fanciullezza della piccola Teresa era immersa già profondamente nella croce, che la rendeva diversa dalle sue compagne.

Cercava spesso la solitudine e la preghiera. Appena era libera dagli impegni della scuola e della casa, correva in chiesa distante una mezz’ora di cammino dal suo maso.

Teresa sentì la vocazione di farsi monaca fin da bambina. Ne parlava spesso alla mamma, ma non riusciva a strapparle il permesso di seguirla. Tanto la madre Maria quanto gli altri parenti volevano che pensasse al matrimonio e non a farsi monaca.

Per levarle di testa quella idea che credeva bizzarra, la mamma l’allontanò dalla sua casa e la mandò da suo fratello Giacomo Sinner. In casa dello zio Giacomo, Teresa faceva la serva: i lavori più gravosi erano per lei. Le fu affidata, tra l’altro, la cura e la custodia del bestiame bovino.

Malaticcia com’era, il suo fisico venne presto prostrato dalle eccessive fatiche del lavoro, tanto che la mamma Maria dovette ricondurla nella casa paterna. Intanto la mamma e gli altri parenti erano sempre più decisi ad impedirle di seguire la sua vocazione. La pena interiore per Teresa era grandissima, tanto più che non poteva avere alcun dubbio sulla sua vocazione. Ebbe un segno straordinario di conferma: «Leggendo un libro presso una finestra - narra nei suoi Appunti Autobiografici - mi sentii chiamare da un fanciullo, il quale mi disse: "Tu devi abbandonare tutti e andare lontano a farti monaca". Con la mano mi mostrava la città dove dovevo monacarmi, che dopo conobbi essere stata quella di Assisi. Mi ripugnò questa cosa sommamente, ma poi riflettei e dissi tra me: "Ebbene, o Signore lo faro"».

La Madonna fu generosa di grazie verso Teresa che si rivolgeva a Lei con la fiducia di una figlia affettuosissima. La risposta di Maria SS. non tardò a schiarire la densa foschia nell’anima di Teresa. Ad un periodo di indicibili pene interiori - oscurità, aridità, tentazioni di ogni genere - verso i diciotto anni seguì un breve periodo di comunicazioni e altri conforti celesti molto superiori a tutti gli altri provati prima.

E che queste luci e gioie venissero da Dio lo conferma il fatto che esse acuirono in Teresa la volontà di soffrire. Scriveva la Venerabile: «Mi pare d’essere stata morta a tutte le cose della terra; in questo tempo pregavo sempre il Signore che mi desse più croci».

Le fonti storiche sulla vita della giovane Teresa sono unanimi nel ricordare la sua premura per i poveri, i malati e moribondi.

La compassione verso i poveri era concreta. Per loro si privava volentieri di qualcosa del suo pranzo; e i pochi spiccioli di denaro che talvolta riceveva per sé passavano facilmente nelle tasche di qualche mendicante di passaggio.

Teresa assisteva giorno e notte gli infermi e i moribondi. Era chiamata ovunque, e i sacerdoti stessi quando sapevano che c’era lei ad assistere i moribondi, dati loro gli ultimi sacramenti, sapevano di poter stare tranquilli. Dicevano: «C’è Teresa? Allora stanno in buone mani».

Prestava ai malati i servizi più gravosi e più ripugnanti, con tanta amabile e generosa dedizione che, secondo un teste del processo, «gli infermi la riguardavano come un angelo consolatore».

Tutti i testimoni di questo ardore di carità di Teresa sono concordi nel ricordare che attraverso le cure affettuose del corpo malato essa cercava di arrivare alla loro anima. E ciò specialmente quando erano moribondi. Dopo la morte, poi, faceva speciali preghiere di suffragio perché fossero liberati dal purgatorio.

Poco tempo dopo la morte della zia Anna, per fortificarsi spiritualmente si recò a Brunico, dove il 14 luglio 1834 fu iscritta nel Terzo Ordine di S. Francesco presso il Convento della SS.ma Trinità dei Cappuccini. Diventò terziaria professa l’anno seguente, l’11 luglio 1835, prendendo il nome di Chiara. Era un primo passo verso l’ideale francescano dal quale sempre si sentiva attratta e in cui avrebbe voluto realizzare subito la sua vocazione religiosa.

Poco tempo dopo, spese a S. Candido parte del denaro lasciatole dalla zia Anna per imparare il ricamo, la confezione dei fiori artificiali e a suonare l’organo.

Aveva in testa uno scopo ben preciso, e qualunque cosa imparasse a fare era soltanto in funzione di questo scopo: rendersi idonea per essere accettata in qualche monastero.

Casa natale della Ven. Steiner

Nonostante la contrarietà della Madre e dei parenti si recò a Bressanone e bussò alla porta del vecchio monastero delle Clarisse per essere ammessa. Ma Teresa non aveva la dote sufficiente e sapeva fare tanto poco. Così venne respinta dalle Clarisse di Bressanone. A questo punto avrebbe dovuto ritornare a Tesido a vivere tra il feroce pettegolezzo dei suoi paesani. Non se la sentì e decise di rimanere a Bressanone.

Fu alloggiata da una pia donna. Lì incontrò il canonico Giorgio Habtmann, Rettore del Seminario. Habtmann fu per la Steiner un direttore spirituale che la sostenne molto in questo turbolento periodo della sua vita.

Habtmann consigliò alla giovane di entrare nel monastero delle Benedettine di Sabiona, distante pochi chilometri da Bressanone. Non era l’ideale per Teresa, ma seguì obbediente il consiglio del confessore. Era l’autunno del 1835.

Le monache rimasero ammirate per le virtù della nuova postulante e nutrivano rosee speranze nel suo avvenire. Ma altro era il piano di Dio.

Qualche tempo più tardi Teresa cadde gravemente malata. «Restai come morta - scriverà più tardi la Madre Steiner - anzi, per diverse ore mi tenevano per morta. Quando vidi, per così dire, separarsi l’anima dal corpo, dissi: "Signore, datemi altro tempo di vita". In questo stato ebbi una visione del monastero di Assisi, che io non conoscevo, e decisi che, se fossi guarita, vi sarei andata certamente. Lo dissi al confessore che mi assisteva, ma egli mi rispose che mi levassi assolutamente dalla testa quella cosa, la quale era stata una illusione». Riuscì a superare la fase più critica della malattia, pur non riuscendo a rimettersi del tutto. Dopo solo tre mesi di permanenza le Benedettine di Sabiona, convinte che Teresa fosse tubercolosa, furono costrette a rimandarla dalla mamma a Tesido.

Al suo ritorno a casa i compaesani la fecero oggetto di scherni e disprezzo, cercando di dissuaderla ancora una volta dall’intento di farsi monaca.

Teresa visto il clima ostile si fermò poco presso la madre; tornò a Bressanone. L’8 aprile 1836 superò positivamente un esame per l’abilitazione a maestra. Rimase quasi ininterrottamente a Bressanone sino al novembre del 1837.

A questo tempo soprattutto si riferisce quanto scrisse più tardi la Madre Agnese: «Nello spazio di quattro anni io non so dire quante malattie mortali ho avute, avendo perduta affatto la salute. Alle volte sono venuti tre o quattro medici a visitarmi, ma nessuno capiva il mio male, e consumai in medici e medicine molto denaro. I patimenti che soffrii in questi tempi mai li potrei descrivere. Mi sforzavo di credere ai confessori che mi consigliavano di deporre ogni pensiero di entrare in un monastero, ma nel mio interno sentivo tutto il contrario e morivo dal desiderio di farmi monaca».

Teresa chiese al canonico Habtmann di permetterle di partire per qualche monastero di Assisi, ma il confessore era irremovibile. Le permise soltanto di entrare in un monastero tirolese, per provare la sua salute. Così il 4 novembre del 1837 fu ammessa come convittrice tra le Orsoline di Brunico.

Meno di un mese dopo, però, era già fuori del monastero. Si era ammalata di nuovo e in maniera piuttosto grave, tanto che il medico aveva consigliato le monache di dimetterla perché tubercolosa. Fu costretta allora a tornare ancora una volta al suo paese natale.

Da Tesido, di tanto in tanto, Teresa continuava a recarsi a Bressanone, se non altro per incontrarsi col suo direttore spirituale, il canonico Habtmann. E a Bressanone, nella chiesa delle Clarisse, nel giugno 1838, sentì chiarissima la voce di Dio, che la sollecitava a realizzare subito la sua vocazione religiosa.

Racconta negli Appunti Autobiografici: «Dopo la Santa Comunione mi disse il Signore: "Ora è volontà mia che ti alzi e ti faccia monaca in Assisi. Lo voglio e tu non puoi, ma io farò tutto: farò per te anche miracoli"». I miracoli vennero davvero.

Innanzitutto quello dell’immediata accettazione da parte delle Terziarie Francescane Tedesche di Assisi, appena otto giorni dopo che Teresa aveva fatto loro domanda.

Le Cappuccine di Assisi non si garantirono neppure chiedendo informazioni precise e più particolareggiate su quella aspirante tirolese.

Ma ci fu anche un altro miracolo: Teresa era poverissima e non aveva danaro né per pagare il viaggio per Assisi né per la dote. Ebbe ottanta scudi d’oro da un buon vecchio incontrato in una chiesa e al quale si sentì sollecitata interiormente a rivolgersi chiedendogli un qualche aiuto per realizzare la sua vocazione religiosa. A completare la somma per la dote pensò poi lo stesso suo confessore Habtmann.

Teresa fin dal primo periodo di permanenza nel monastero di Assisi venne pesantemente vessata dal diavolo. E del resto la rabbia diabolica contro Teresa, aveva una facile spiegazione. L’aurora di quella nuova vita religiosa fervorosissima annunziava grandi conquiste per il Regno di Dio.

Il fuoco d’amore di Teresa per il Signore si accendeva soprattutto nell’Eucaristia. Una delle monache, Suor Isabella, osservava: «L’ho osservata più volte prima della S. Comunione; particolarmente se tardava, andava tutta anelante ed ansante per l’orto a respirare l’aria aperta, sembrava che le mancasse il respiro, cercava divertirsi, sfogarsi invitare il suo diletto con amorose giaculatorie, cantare qualche strofetta ... insomma si conosceva che non poteva reggere più all’impeto di amore che la trasportava».

Il vero amore di Dio trova espressione concreta nell’amore del prossimo. «Ella amava tutti e tutte ugualmente - attesta Suor Isabella - con amore disinteressato; compativa tutti; se non poteva le azioni, (compativa) almeno l’intenzione. Io non l’ho intesa mai parlare sinistramente o mormorare di qualcuno, mai l’ho potuta vedere disgustata con qualcuno, benché avesse moltissime occasioni di qualche risentimento; aiutava anche con l’opera dove poteva, e lo faceva in un modo così obbligante, così cordiale che era il rifugio di tutte. Chi per aiuto, chi per consiglio, chi per il conforto, chi per dubbi e timori; tutte trovavano in lei e nella sua carità ciò che cercavano». Bruciava dal desiderio delle anime: «Il suo zelo per la salute delle anime era inarrivabile; per impedire un solo peccato avrebbe sofferto tutte le pene dell’inferno, e per salvare un’anima sola avrebbe volentieri dato tutto il suo sangue».

Dal 26 giugno 1839 cominciò un periodo di prove spaventose. «Nel giorno della mia vestizione - racconta essa stessa nei suoi Appunti - prima d’indossare il santo abito, mi visitò il Signore e mi disse: "Io non verrò più per ora a visitarti; ti do il dono di sposa". E scomparve». I paradossi di Dio: Suor Agnese andava a Lui e Lui si ritraeva da lei. «Fui abbandonata ai demoni in modo che molti libri non basterebbero a dirlo. Ogni giorno mi pareva un inferno scatenato contro di me per le fortissime tentazioni di disperazione, contro la fede, la purezza e ogni altra virtù, con angustie e afflizioni inesprimibili. Ogni notte ero visitata dai demoni in modi e forme visibili ed orribili ed ero da essi tanto molestata che dovevo fuggire dalla cella e girare per il monastero».

Non trovò comprensione neanche in Madre Caterina, maestra delle novizie, che, non conoscendo la vera origine di queste "stravaganze", le dava penitenze che essa accettava con molta rassegnazione. Peggio ancora la giudicavano le monache: per loro Suor Agnese era davvero pazza.

Ci pensò il Signore a far mutare opinione alle monache sul conto di Suor Agnese. Una di esse, quella che più le era contraria, si ammalò gravemente. Doveva restare sempre a letto e non trovava né sollievo né miglioramento nel suo male. Soltanto la presenza di Suor Agnese, che la visitava spesso, riusciva a darle un po’ di calma. L’abbadessa allora dette a Suor Agnese l’incarico formale di assisterla in tutto e per tutto. A poco a poco la carità di Suor Agnese - era stata una espertissima infermiera nella sua terra tirolese - dissipò la cattiva disposizione d’animo della consorella malata contro la novizia.

Ora stimava moltissimo Suor Agnese; e il suo giudizio si fece sentire positivamente anche sulle altre monache. Si videro sotto altra luce le stravaganze della loro novizia.

Determinante poi fu il parere del nuovo confessore, P. Norberto, che rassicurò tutte sul fatto che "la cosa era soprannaturale".

L’ossessa, la pazza per tanti mesi, alla fine fu riabilitata nella loro stima. E quando, il giorno di Pentecoste il vescovo, Mons. Domenico Secondi, invitò le capitolari a pronunciarsi sull’ammissione di Suor Agnese alla professione perpetua, tutte votarono sì.

Il 6 giugno 1841 Suor Agnese donò sé stessa integralmente e irrevocabilmente pronunciando la formula della Professione religiosa nelle mani del vescovo di Assisi.

Nel 1847 così descrisse la Madre Agnese lo stato dell’anima sua nei mesi successivi al giugno 1841: «Dopo la Professione, mi trovai per qualche tempo contenta: sentivo crescere nel cuore di giorno in giorno la fiamma di amore verso lo Sposo, sentivo un desiderio tanto grande d’imitarlo e partecipare ai suoi dolori che avrei voluto nelle meditazioni togliere Lui dalle mani dei carnefici e mettermi io al suo posto...».

In questo fuoco d’amore divorante si delinea chiaramente una componente caratteristica della vita spirituale della Madre Steiner: la riparazione.

Madre Agnese portava tonache molto rappezzate e le erano molto care per l’amore che portava alla santa povertà. Aveva una pietà particolare per le anime del Purgatorio, con le quali fu più volte in misteriosa comunicazione.

In un brano dei suoi Appunti, scritto sicuramente in questi anni, Suor Agnese annota: «Ora spesso mi si presentano le anime di quei parenti che passano all’altra vita. Tre volte è venuta da me un’anima che soffre molto, come anche un’abbadessa delle Clarisse di Germania che io conoscevo bene. La vidi tutta nera e aveva soltanto un po’ di bianco sullo scapolare: piangeva terribilmente ed ho saputo che soffriva tanto per i troppi riguardi e per le condiscendenze verso le monache, ma era salva».

Gesù una notte le disse: «Ti condurrò a vedere il Purgatorio e come penano in esso le anime dei trapassati. Tu poi prenderai cinque di quelle anime e saranno quelle che piacciono a Maria, mia e tua madre, di liberare, e ciò conoscerai con chiarezza: - parlane, però, al confessore e riportane il consenso col merito della santa ubbidienza».

Secondo la testimonianza di P. Norberto, questa liberazione di anime dal Purgatorio avvenne più volte. Le fonti storiche riferiscono anche dell’apparizione a Suor Agnese dell’anima della sua madre defunta. Maria Sinner era morta il 6 gennaio 1841, improvvisamente, ma dopo aver ricevuto gli ultimi sacramenti. Quel giorno stesso apparve alla figlia Suor Agnese in tempo di ritiro.

«Io la vidi morta - racconta negli Appunti - senza sapere che era morta... Oh che pianto! Oh quanto pregai per essa! La vidi che pativa anche per me e spesso veniva a visitarmi. Dopo tre mesi ebbi notizia della sua morte. Spesso nelle feste della Madonna mi si faceva vedere afflitta e in pene».

Tra le altre colpe, Maria Sinner doveva espiare in Purgatorio anche quella di essersi opposta alla vocazione della figlia. Ed ora proprio alla figlia monaca chiedeva il suffragio di essere liberata dal Purgatorio.

Un giorno, benché gravemente malata, Suor Agnese si recò di notte in chiesa per lucrare l’indulgenza del Perdono d’Assisi per l’anima di sua madre. «Ivi seguitando nell’orazione - racconta P. Francesco - le comparve di nuovo l’anima di sua madre e le disse: "Figlia mia, ti ringrazio, vado ora in Paradiso a preparare il posto anche per te"».

Tutte le monache - anche quelle che per anni avevano dubitato di lei - alla fine si piegarono all’evidenza di ogni giorno: la profondità della vita religiosa di Suor Agnese, che irradiava ovunque un irresistibile fascino soprannaturale.

Dio scelse Suor Agnese per una importante Riforma delle anime religiose francescane. Fortificata, dalla certezza della volontà divina, scrisse le Costituzioni. Racconta essa stessa nella memoria inviata alla S. Congregazione dei Vescovi e Regolari nel 1847: «In pochi giorni e notti potei scrivere i dodici capitoli della prima regola di S. Chiara, perché molti furono i lumi chiarissimi ch’ebbi e molte e chiare le locuzioni interne che ricevei su tale rapporto».

Le Costituzioni scritte da Suor Agnese mitigavano alcune austerità esterne della Regola di S. Chiara che venivano, però, sostituite «con altrettanto impegno per le virtù interne», specialmente, con il rinnegamento della propria volontà.

Su richiesta del vescovo di Nocera, il vescovo di Assisi, Mons. Landi, la incaricò di assumere le funzioni di abbadessa nel monastero di S. Giovanni a Nocera. Ma nei giorni prima della sua partenza il diavolo non avrebbe dato pace a Suor Agnese. «Nel tempo che passò prima della partenza pareva che si fosse radunato mezzo inferno», testimonia P. Norberto. «Nella cella, nel coro e ovunque portavasi la povera monaca, chi la tacciava di superba, chi la batteva e calpestava ore continue, chi la minacciava di morte, chi procurava di buttala giù per le scale del monastero, chi con urli spaventosi cercava d’intimorirla e chi gridava ad alta voce che non sarebbe partita per Nocera perché essi le avrebbero data la morte prima o che almeno l’avrebbero precipitata insieme col suo confessore giù per le balze della strada nocerina». Su Suor Agnese questa rabbia diabolica non aveva alcuna presa: ci trovava, anzi, un’ottima conferma che Dio la voleva a Nocera.

Chiesa del monastero di S. Giovanni. Quì è sepolta la Venerabile

L’11 giugno 1846 il Card. Giovanni Mastai (futuro Papa Pio IX) celebrò la Santa Messa nella piccola chiesa del monastero di S. Giovanni e parlò brevemente alle monache esortandole a pregare per il nuovo papa. Al diacono Amoni, che dopo la Santa Messa andò a scambiare due parole con la Madre Agnese, questa rivelò che a nuovo pontefice sarebbe stato eletto proprio il Card. Mastai. «È impossibile - rispose l’Amoni - perché, tra l’altro, è troppo giovane: ha soltanto 54 anni». La Madre Agnese non esitò a confermare la profezia. Ad elezione avvenuta in tanti ebbero una prova di più che lo spirito di Dio illuminava in modo non ordinario la monaca tedesca.

Ma intanto i disaccordi fra il Vescovo di Nocera, Mons Piervissani, e la Steiner sull’applicazione della Regola nel monastero di S. Giovanni, si facevano sempre più inconciliabili. La Madre Agnese era scoraggiata, perché la Regola così come le era stata data dal Signore non veniva accettata dal vescovo. Decise allora di ottenere dal papa il permesso di recarsi a Roma a perorare la sua causa.

Il vescovo Mons. Stella riuscì ad ottenere per la Madre Agnese da Pio IX due lunghe udienze private. A Roma i Cardinali definirono la grossa questione tra lei e Mons. Piervissani accogliendo tutte le proposte della Madre. Il voto fu unanime. Un vero miracolo per chi sapeva quanto fossero prevenuti all’inizio contro la Madre Agnese.

Pio IX approvò e confermò le decisioni della S. Congregazione dei Vescovi e Regolari il 17 settembre 1847. Lei stessa trovò in questo esito una garanzia di autenticità delle luci e delle sollecitazioni con cui il Signore aveva sostenuto la sua anima nel corso di quegli anni di tormento e di lotta. Ormai il piccolo seme della Riforma non avrebbe più trovato impedimenti tali da essere soffocato.

Mons. Piervissani non rimase mai persuaso della bontà delle decisioni della Santa Sede, e tentò ogni via perché fossero revocate. Mediante i suoi amici romani, cercò di contestare in qualche modo i decreti di Roma. Non ottenne alcun risultato. Si recò lui stesso a Roma, ma la Santa Sede contro ogni ragionevole previsione, era irremovibile. Al suo rientro da Roma il Vescovo si ammalò. Mons. Piervissani morì il 5 gennaio del 1848. Madre Agnese considerò sempre Mons. Piervissani «Padre e Fondatore» del suo monastero. Le aspre divergenze con lui erano state «una tribolazione permessa da Dio per i suoi fini» e non attenuarono mai in lei la venerazione per lui che «essa stimava un Santo».

Con rescritto pontificio del 21 gennaio 1848, Madre Agnese venne eletta abbadessa. Ma se l’elezione ad abbadessa chiudeva una fase difficile per la lunga controversia con Mons. Piervissani, non segnava affatto la fine delle sue sofferenze morali e fisiche.

L’intera vita della Madre Agnese doveva essere, come quella del suo Sposo Crocifisso, croce e martirio. Per sette mesi la straziò un terribile mal di denti, e nei mesi di marzo e aprile fu gravemente malata.

Sul suo fragile corpo gravava la croce della Chiesa del suo Gesù. Erano quelli mesi di grande passione per la Chiesa. La tempesta era scoppiata violentissima nell’autunno del 1848: Pio IX il 24 novembre, vestito da semplice prete era fuggito da Roma e seguito da pochissimi, era riuscito a rifugiarsi a Gaeta, ospite del re Ferdinando di Napoli.

Pio IX consultò spesso la Madre Agnese, che credeva anima privilegiata da Dio, già dal tempo in cui era semplice vescovo di Imola. Due volte nel settembre del 1847 la ricevette in udienza particolare. «L’ascoltò benignamente - scrive P. Francesco - e ne restò molto edificato ed illuminato in varie cose relative al governo della Chiesa».

La Madre Steiner era tenuta in grande stima anche da Papa Leone XIII: pare che Leone XIII paragonasse la suora tirolese a Santa Caterina da Siena.

L’8 dicembre 1854, Pio IX definì solennemente il dogma dell’Immacolata Concezione della Madonna. Al processo canonico P. Francesco disse che su questo dogma la Madre Steiner «fu consultata in nome del Santo Padre dal defunto Priore Amoni».

«Mi rammento - narra Suor Giacinta Massoli - che la Madre passò la notte precedente in orazione e contemplazione come era solita fare nelle vigilie di tutte le festività della Madonna. La mattina poi nell’osservarla si capiva nel suo viso un non so che di straordinario tanto che le domandai: "Madre, cosa le ha detto questa notte la Madonna?". Mi rispose: "Ah quante cose ho penetrate e capite. La lingua umana non le sa esprimere. Poi ho veduto la Madonna che si è recata in Purgatorio e ha condotto con sé in Paradiso tante anime"».

Questa intima e intensa vita mariana della Steiner spiega perché quasi sempre le grandi luci - specialmente sulla Riforma della Chiesa - siano arrivate a illuminare la sua anima proprio attraverso la Vergine. Un episodio fra tanti può far comprendere l’importanza della mediazione materna di Maria nelle comunicazioni interiori tra Dio e la Steiner. Scrive la Madre Agnese: «Mi disse Gesù: "Possiedi il mio cuore, e non ti negherò grazia". Guardandolo lo vidi con una croce pesantissima ed enormemente lunga, e gli dissi: "Questa non è la croce che avete portato". Mi rispose: "Questa croce me l’ha fabbricata il mondo". Io, pregando misericordia per le anime, accettai ogni tribolazione, accettai anche di morire».

E continua a raccontare: «Allora mi volsi alla Madonna, chiedendo misericordia e perdono per i miei gravissimi peccati e per i peccati del mondo. Mi disse: "Figlia, il Signore vuole da te sacrifici". Io accettai tutto quello che vorrà l’obbedienza. La pregai di mandare il suo capitano S. Michele arcangelo, come mi aveva mostrato un’altra volta in Roma nel 1847, sopra S. Pietro e il Vaticano a difendere la Santa Chiesa. Inoltre chiesi misericordia per la mia povera comunità, ricordandole che Lei mi diede l’ordine di riformarla per riparare i peccati del mondo. Mi rispose: "Benché questo monastero non basti a placare il Cuore di Gesù per i peccati dei cristiani, io avrò cura particolare di esso. D’ora in poi riposa ed ama"».

Tra le virtù che la Madre Agnese ricordava con più insistenza alle monache, spiccavano l’umiltà, l’obbedienza e la povertà. Le inculcava più che con le parole con il suo esempio. Ricorda Suor Margherita Ceccarani: «L’umiltà della Madre era sì grande che per piegare la durezza di qualche consorella l’ho veduta più volte domandarle perdono in ginocchio».

E Suor Veronica Crolli: «Stava tanto nascosta che difficilmente parlava di sé e faceva con tanta gioia le faccende più basse e vili del monastero... Baciava i piedi alle monache e si metteva talvolta distesa per terra facendosi pestare da noi tutte. Nell’udirla poi fare la colpa in capitolo con tanto candore e tanta umiltà, eccitava in noi tanta compassione e compunzione che ci cavava le lacrime dagli occhi».

Le monache conservarono vivissimo il ricordo dell’umiltà della Steiner nei suoi doveri di abbadessa. Dai suoi comandi era estranea ogni forma di autoritarismo.

Non aveva di sé alcuna stima. Depone al processo canonico P. Francesco: «Mi consta di propria certa scienza come confessore che, nonostante l’abbondanza dei superni lumi, sublimità di virtù ed intima mistica unione con Dio da cui fu favorita dal cielo, si mantenne sempre nel profondo annichilimento di se stessa, reputandosi sinceramente niente e piena di peccati, riconoscendosi e dicendosi la creatura più indegna del mondo, meritevole di tutti i castighi e cagione di tutti i flagelli che cadevano sopra la terra».

L’umiltà e la semplicità formano nell’anima l’obbedienza. Le monache poterono constatare che la sua obbedienza fu veramente eroica, «perché fu costantemente semplice, pronta e allegra». La Madre Steiner le esortava spesso a questa virtù, tutte le occasioni erano buone. Afferma Mons. Madrigali al processo: «Una monaca ancora vivente per nome Suor Raffaella Conocchia mi raccontò che un giorno la Serva di Dio vide sotto il tetto una rondine che aveva fatto il nido, e la chiamò dicendole che scendesse giù, e quella povera bestiola immediatamente volò dove ella era, e mi sembra mi dicesse che le si posò sulla mano. La Serva di Dio allora, sostenendo la rondine, si recò dalle sue monache adunate nella camera del lavoro e disse loro: "Questa creatura irragionevole al comando di una creatura si è mostrata obbediente alla sua voce, e noi creature ragionevoli molte volte non vogliamo obbedire alle voci del nostro Creatore, né a quello dei nostri Superiori"».

A conferma e a complemento la stessa Suor Raffaella depone: «Posò sul davanzale della finestra l’uccelletto che subito riprese liberissimo il suo volo».

La Madre Agnese voleva sempre vestirsi di tonache scartate e rappezzate, un giorno perfino il medico Sabatini si lamentò per quegli abiti.

Sulla sua carità per i peccatori, ricorda la Madre Sisti: «L’ho intesa pregare le notti intere implorando misericordia per i peccatori, specialmente quando sapeva qualcuno in pericolo di morte. Allora non risparmiava fatiche e sacrifici, stando con le braccia aperte dinanzi a Gesù Sacramentato, si sentiva talvolta dire: "Gesù mio, voglio quest’anima". Ripeteva ciò più volte con grande fervore e grande confidenza, e per guadagnarla spesso si disciplinava a sangue, portava un cilicio di crini».

Con l’esempio e con continue esortazioni la Madre Agnese cercò di inculcare il dovere di pregare per affrettare la visione beatifica di Dio alle anime salve, ma non ancora purificate dalle scorie del peccato. P. Francesco al processo canonico sulle virtù della Steiner dichiarò: «Mi disse moltissime volte, per il voto di sincerità, delle anime che le comparivano chiedendole suffragi e per cui in particolare offriva a Dio le sue orazioni e patimenti uniti a quelli del suo Sposo Gesù, nonché mi diceva del come e del quando erano liberate e salivano al cielo comparendole ordinariamente in tale occasione per ringraziarla…». Quanto alle esortazioni alle sue monache P. Francesco depone: «Esponeva loro con molta chiarezza ed unzione di spirito le varie e orribili pene che soffrono, quanto sono care a Dio, quanto Egli desidera di averle con sé e quanto gradisce e ricompensa coloro che con suffragi le aiutano per così dire a soddisfare ai loro debiti e così accelerare il loro ingresso in Paradiso».

Cella dove morì la Venerabile

Malaticcia da sempre, la Madre Agnese sentì accrescersi i vari disturbi nella tarda primavera del 1860. Nessun confronto per la violenza tra questi e le gravi malattie degli anni precedenti, tra le quali, in particolare, quelle del 1854, del 1856 e del 1857.

Nel pomeriggio del 24 luglio la Madre Agnese mentre si trovava con le monache nel lavoriero (la stanza dove le monache si radunavano per attendere ognuna al proprio lavoro) fu colta da un attacco più violento dei suoi molti malanni. Svenne, si riprese, svenne ancora. Le monache spaventate la trasportarono mezza morta nella sua cella e la misero a letto. La fine era vicina. Dal letto non si alzò più.

Racconta la Sisti, che dormiva in quei giorni nella cella della malata: «La mattina del 13 agosto mi svegliai all’improvviso e vidi intorno al letto della Madre Agnese come un incendio di raggi di luce e di splendori, i quali in grado ancora più intenso formavano come un baldacchino in alto che la copriva tutto all’intorno, e mi sembrò di vedere il solaio della cella come aperto con molti personaggi che calavano giù. Udii chiaramente una voce sensibile: "Domandate alla mia Diletta che cosa vuole da me". Mi alzai dal letto e temendo che quello della Madre andasse a fuoco, lo guardavo molto attentamente per scoprire donde provenissero quei raggi. Mirando poi la lucerna accesa al suo posto solito, compresi che si trattava di cosa celeste e credetti che la Madre fosse già morta». Ma l’ultimo momento per la Madre Agnese non era ancora giunto. Sarebbe morta solo qualche giorno più tardi, il 24 agosto 1862, aveva 49 anni.

La salma della Steiner rimase esposta nella Chiesa del monastero per quattro giorni. Da Nocera e dintorni moltissimi accorsero a rendere omaggio alle spoglie mortali di quella abbadessa, che, venuta dal lontano Tirolo, aveva reso famoso lo sconosciuto monastero di S. Giovanni. Dicevano: «E morta quell’abbadessa tanto santa!». Il 28 agosto 1862, dopo un funerale straordinario per concorso di popolo commosso e ammirato, la salma della Madre Agnese fu sepolta in un loculo scavato in fondo alla chiesa a destra della trecentesca porta d’ingresso. Una semplicissima iscrizione con i soli dati biografici, fu murata nella parete sovrastante.

 

MADRE AGNESE VITTIMA PER I PECCATORI. UNO STRAORDINARIO AMORE PER LA CROCE

Nella vita della Steiner spicca l’amore per la croce. «Per amore di Dio - scriveva alle sue figlie da Perugia il 15 gennaio 1850 - amore alla croce che tutti vogliono buttar via, anzi vorrebbero seppellire sotto terra per non vederla più. Prendete la croce tenetela a conto: è il tesoro più grande del mondo».

Da autentica contemplativa la Steiner si sentiva in vincolo di solidarietà con il mondo del peccato, che ha bisogno di essere redento dalla misericordia divina. Madre Steiner implorava il Signore dicendo: «"Gesù e mio Dio, abbiate misericordia di me e del mondo". Proruppi in dirottissimi pianti con la faccia per terra dicendo: "Placatevi sopra me". Pregavo per tutti in particolare, e spesso sentii dirmi: "Placami tu"». Ebbe la conferma che a lei era assegnata una missione molto chiara e precisa: la riparazione per le anime. Inoltre Madre Steiner doveva soffrire e lavorare specialmente per la Riforma dei monasteri.

Gesù si lamentava spesso con Suor Agnese della freddezza e della mediocrità delle anime consacrate, specialmente quelle dei religiosi e delle religiose. Così, ebbe dal Signore la missione specifica di riparare soprattutto a favore di quelle anime consacrate che non Gli sono fedeli. Emise anche il voto di vittima per i peccatori, annotando che glielo «aveva insegnato la Madonna».

Questo voto impegnava Suor Agnese, come afferma essa stessa, «ad accettare tutto ciò che al Signore piacerà mandarmi per i peccatori e per il mondo tutto».

Fu tormentata per tutta la vita da indicibili sofferenze e da stranissime malattie la cui origine era sconosciuta e che spesso resistevano ad ogni terapia.

La Madre Agnese continuava nella sua carne le sofferenze di Cristo per l’edificazione della Chiesa. Lei stessa fu pienamente cosciente di questo significato della sua croce fisica in aggiunta a quella morale. «Si vide sempre rassegnatissima - ricorda Suor Teresa Spellucci - né gli usci mai dalla bocca un lamento né si notò mai un atto d’impazienza». E parlando del lancinante dolore di denti che per tutta la vita la tormentò, la Spellucci scrive: «L’ho veduta poi quasi sempre spasimare per molti giorni e notti intere di modo che si udiva muggire da far compassione alle stesse pietre senza poter prendere cibo alcuno né trovare un istante di riposo».

Suor Veronica Crolli attestò che non udì mai dalla sua bocca una parola di lamento, benché soffrisse da torcersi «come un serpe».

Questo slancio di offerta per le anime la sostenne tutta la vita che fu un continuo martirio.

Dando una valutazione sintetica ed incisiva delle sofferenze della Steiner, il suo biografo scrive: «Riconoscendosi Sposa di Gesù Crocifisso, non sapeva né poteva vivere senza essere con Lui crocifissa. Tanto che da parte mia debbo attestare costantemente riconosciuto che l’amore alla croce era come l’anima della Madre Agnese, e che formò il carattere distintivo del suo spirito con una grazia particolarissima di farne in qualche modo partecipi quanti con sincerità di cuore la favorivano. Era questo suo vivo desiderio di patire con Gesù e per Gesù placido, sereno, amoroso, come fermo costante e risoluto ad abbracciare senza eccezione qualunque travaglio, tribolazione e croce per la gloria di Dio e per la salvezza delle anime».

 

ALCUNE RIVELAZIONI

Il 20 agosto 1842 Suor Agnese ebbe una illuminazione che con violenta chiarezza le fece comprendere i gravissimi problemi della Chiesa e del mondo cristiano. Scrive Suor Agnese: «Mi ha detto la Madonna: "Mio Figlio deve castigare il mondo per la grande ingratitudine per i peccati e per la poca fede che hanno i fedeli della Chiesa, i quali devono essere veri figli della santa Chiesa". Io pregavo, piangevo e scongiuravo il Padre celeste affinché si placasse per il sangue di Gesù, e ritirasse i flagelli minacciati sopra di noi. Erano ore che pregavo - do soltanto un cenno di ciò - quando vidi Maria Santissima levarsi e andare ai piedi di Gesù e invocare misericordia, presentargli i suoi dolori. Allora vidi placarsi l’Onnipotente, ma non so per quanto tempo».

In un appunto dello stesso mese di agosto Suor Agnese lasciò scritto: «Le preghiere di molti cristiani non arrivano al trono dell’Altissimo per la poca fede e per la loro freddezza: non riflettono a ciò che dicono. Vidi il Signore tanto disgustato di questi cristiani e ministri, dei santi sacramenti ricevuti male che mi spaventai. Oh Dio misericordia! Anche io ebbi grandi rimproveri dal Signore: il mio cuore non gli è accetto perché non glielo ho dato interamente. Per amor suo io volevo privarmi di ogni consolazione e volevo rinunciare a tutto affinché accettasse il mio cuore, ma sentii dirmi: "Purificalo meglio prima"».

 

Gesù disse a Suor Agnese: «L’ingratitudine dei cristiani grida a me. Non mi riconoscono per loro creatore e, venendo nella mia casa, invece di adorarmi mi offendono. Tanti sono induriti nei loro cuori che non giovano loro né castighi né grazie, e solo mi riconosceranno quando verrò a giudicare il popolo prediletto; i sacerdoti, i religiosi mi servono soltanto in apparenza. Dove sta la loro perfezione?».

E ricorda Suor Agnese lo strazio di quella visione: «Ho visto i loro cuori: quanti inganni di sé medesimi e come sono in pericolo di salvarsi. Ho visto le serve del Signore in poco numero. Le loro orazioni per tutto il mondo non arrivano alla divina presenza: sono anime in grazia, hanno anche buona volontà ma non mettono tutte le loro forze; e manca loro la guida.

Ho visto i buoni che non hanno grandi peccati, ma il loro cuore è diviso in due o più parti. Dissi: "Signore, per le vostre spose e per i vostri religiosi pietà per tutto il mondo e per la Santa Chiesa!"

- "Essi hanno grandi grazie e grandi luci, ma sono attaccati a sé stessi; e per questo il mondo è così cattivo. E come mi amano? Non fanno bene neppure essi stessi."

- "Signore! I pastori vi saranno fedeli?"

- "Tanti, sì, fanno quello che devono fare ed hanno buona volontà; ma il loro fine non è retto; ed hanno idoli secreti, cioè agiscono per fini umani, e si curano poco delle anime loro affidate. Pensano soltanto a se stessi. Ci sono tra costoro anche dei Cardinali. E tanti e tanti vanno in rovina. I confessori non attendono al loro dovere di guidare le anime alla perfezione. Io voglio la penitenza e non tante comodità. Invece ad essi tutto sembra troppo"».

 

Racconta Suor Agnese: «Una notte in coro, dopo molte ore passate in preghiera dinanzi alla Madonna invocando pietà per il mondo, perdetti al solito i sensi e sentii dirmi: "Voglio che tu dica queste cose alla Santa Sede. Voglio, cioè, che parli della Riforma e dei castighi che verranno se non si rimedia presto. A te poi domanderò conto se non manifesti queste cose che già da tanto tempo ti sono state dette".

Allora dinanzi alla Madonna si presentò povero e macilento S. Francesco con le mani e piedi pieni di luce, e invocò pietà per il mondo. Poi rivolto a me disse: "Voglio vedere se i religiosi sono o no miei figli. Dov’è il loro spirito interiore? Dove sono la povertà, l’umiltà, l’incenso della preghiera? Si riformino"».

Inoltre scrive: «Io mi trovai allora nello stesso tempo afflitta e contenta; poi provai le amarezze più grandi. Ebbi allora una vivissima cognizione di quante anime stavano nel mondo in disgrazia di Dio e conobbi le tante grazie che continuamente disprezzavano e il numero quasi infinito che, a dispetto di Dio e a dispetto dei suoi benefici, andavano miseramente all’inferno.

Vidi poi per mia pena maggiore il ceto tutto degli ecclesiastici, prelati, preti, religiosi e monache, che quasi tutti badavano alla vita presente, e nulla curavano la futura».

 

In una lettera del 24 ottobre 1852 a Mons. Stella la Madre Steiner aveva scritto il seguente messaggio di Gesù: «"Guarda le anime, guarda l’Italia e i mali di tanti altri regni, guarda che non si corre ai ripari, la fede finisce, guarda lo stesso clero e i religiosi che più degli altri attirano il castigo sopra la terra, guarda come sono iniqui e mi trattano peggio delle più vili cose della terra, ma impareranno dai castighi perché la mia mano li castigherà".

Allora vidi non so quante religioni distrutte. Una volta dopo la S. Comunione vidi il mondo così mal ridotto che non so come non sono morta: non ho lingua per dirlo né mente per pensarlo per l’orrore. Non vidi niente di consolante. Quando e come ciò avverrà non Io so. Io risposi al Signore: "Che volete che si faccia?".

- "Io ho molti profeti, ma assai falsi e, perciò, le mie cose non sono credute. Io non mi trovo tra gli onori e gli applausi: le mie cose sono accompagnate dalla croce e dalle persecuzioni. Mi hanno messo da parte uomini dai quali io vorrei zelo per il mio onore e per la salvezza delle anime. Dai pastori io voglio anime.

Guarda, invece, che specie di amici fedeli ha il capo della Chiesa anche intorno a sé. Quanto mi perseguitano quelli che dovrebbero essere i candelabri! O Roma, piango su di te come su Gerusalemme. Figlia e sposa mia, benché ingrata, tu amami. Dovunque sono perseguitato. Se fossi amato in parte mi placherei. I vescovi, amando la loro pace sono l’impedimento nascosto; io non sono in pace con essi"».

 

La Madre Agnese nei suoi Appunti fa cenno ad una visione, senza specificare quando avvenne: «La notte io avevo una visione: vidi il Giudice severo che giudicava due sacerdoti in un maestoso trono: mi parve che andassero dannati, mentre con un cenno li allontanò. Ebbi tanto timore che venisse a me: io piangevo e tremavo: vidi due altri sacerdoti, cui accadde la medesima cosa; vidi due altri sacerdoti ... Il Giudice si alzò dal trono e si portò in un luogo dove stavano assai altri, passò accanto a me, mi vidi morire mentre mi dava una severa occhiata; ma passò, mi parve, nel Purgatorio, e poi andai avanti a vedere atroci pene delle anime in un altro luogo e poi fui portata in un punto dello stesso inferno. Oh Dio! mai mi si va via dalla mente. Poi trovai tutto il letto bagnato di lacrime ed io agonizzavo per i dolori e il timore che avevo».

 

"Vedo il Signore mentre flagella il mondo e lo castiga in una maniera orribile tanto che pochi uomini e donne resteranno.

I monaci dovranno lasciare i loro monasteri e le suore saranno cacciate dai loro conventi, specialmente in Italia... La Santa Chiesa sarà perseguitata... A meno che le persone con le loro preghiere non ottengano il perdono, verrà il tempo che vedranno la spada e la morte, e Roma sarà senza un pastore".

"Il Signore mi ha mostrato quanto sarà bello il mondo dopo questo terribile castigo. Le persone saranno come i cristiani della Chiesa primitiva".

 

Fonti:
"Nella Chiesa e per la Chiesa", Gino Sigismondi, Edizioni Paoline;
"The Prophets And Our Times" Padre Gerald Culleton, Tan Books;
"The Thunder Of Justice" Ted and Maureen Flynn, MaxKol Communications;
"Catholic Prophecy" Yves Dupont, Tan Books.

 

 

 

 

 

A cura di "Profezie per il Terzo Millennio" - Luglio 2004
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